58 anni fa il disastro della diga del Vajont, morirono quasi duemila persone travolte dall'acqua
58 anni fa il disastro della diga del Vajont, morirono quasi duemila persone travolte dall'acqua
09 ottobre 2021, ore 11:00
Era il 7 ottobre 1963, una gigantesca frana precipitò nel lago artificiale creato dalla diga del Vajont; la massa d'acqua scavalcò la struttura e spazzò via una intera valle: sparirono in pochi minuti paesi come Erto, Casso, Longarone. Le vittime accertate furono 1917
TUTTO TRAVOLTO
Vajont è il nome di un torrente di montagna, che scorre nella valle di Erto e Casso, in provincia di Belluno. Ma da 58 anni è sinonimo di una delle sciagure più gravi della storia italiana: morirono 1917 persone, tra loro 487 bambini sotto i 15 anni. Tutti travolti da una ondata pazzesca di acqua che scavalcò la grande diga sul Monte Toc e cancellò in pochi secondi i paesi di una intera valle. Chi arrivò a Longarone, la mattina successiva, si trovò davanti un paesaggio lunare: laddove c’erano case, strade, negozi, portici, alberi, macchine non c’era più nulla. Solo fango e silenzio. In molti parlano – a ragione – di strage annunciata.
STRAGE ANNUNCIATA
La diga del Vajont venne progettata fin dagli Anni Trenta del secolo scorso dall’ingegnere Carlo Semenza. Venne costruita tra il 1957 e il 1960. Gran parte degli abitanti della valle guardava con sospetto e timore a quel mastodontico muro di cemento che conteneva una immensa quantità di acqua. Un gigante che sovrastava la zona e faceva paura. Ma non era soltanto un problema di sensazioni e superstizioni. Spesso si avvertivano piccole scosse, a volte capitava che il terreno presentasse fratture. Frane e smottamenti non erano infrequenti. Ci fu anche una campagna stampa, con le ricorrenti denunce di Tina Merlin, coraggiosa e tenace giornalista de “LUnità”. Ma nulla ha consentito di evitare il disastro.
QUELLA MALEDETTA NOTTE
La sera del 7 ottobre 1963, alle 22.39, si staccò una frana gigantesca dal Monte Toc. Una mastodontica massa formata da 270 milioni di metri cubi di terra, detriti, alberi, sassi precipitò nel lago creato dalla diga. Si generarono due ondate: la prima massa d’acqua andò risalì a monte e spazzò via alcune frazioni di Erto; la seconda superò l’altissimo muro della diga e si abbattè con violenza apocalittica sulla zona sottostante, preceduta da un boato fortissimo: stiamo parlando di 50 milioni di metri cubi di acqua, che si incanalarono nella stretta valle del Vajont prendendo ancora maggior forza. L’onda era alta 70 metri ed era preceduta da un vento inquietante. Probabilmente chi è stato investito da questa furia ha avuto il tempo di rendersi conto di quello che stava succedendo, ma ormai non c’era via di scampo. In pochi minuti Erto, Casso, Longarone, Codassago, Pirago vennero letteralmente cancellati.
INCHIESTE E PROCESSI
Tre giorni dopo la tragedia, venne istituita una commissione parlamentare di inchiesta, seguirono processi e ricorsi. Le cause della tragedia furono ricondotte ai progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell'opera fino alla nazionalizzazione, i quali occultarono la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico. Dopo la costruzione della diga si scoprì infatti che i versanti avevano caratteristiche morfologiche tali da non renderli adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico. Nel corso degli anni l'ente gestore e i suoi dirigenti, pur essendo a conoscenza della pericolosità, anche se supposta inferiore a quella effettivamente rivelatasi, coprirono con dolosità i dati a loro disposizione, con beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale, dai piccoli comuni interessati fino al Ministero dei lavori pubblici. I paesi distrutti sono poi stati ricostruiti, la vita ha ripreso a scorrere. La diga non è mai crollata, naturalmente non contiene più acqua. E’ sempre lì, a fare da triste monumento per uno dei più grandi disastri italiani.