Addio Sean Connery, l'unico inconfondibile James Bond che va oltre il mito di una saga senza fine
31 ottobre 2020, ore 17:09 , agg. alle 19:11
L’attore scozzese è morto a 90 anni, diciassette anni dopo aver abbandonato la ribalta del grande schermo. Anche se ha interpretato film di diverso genere, vincendo un Oscar, il suo profilo si consegna alla storia del cinema per essere stato il primo 007, quello più indimenticabile e di maggior successo
Il mio nome è Bond. James Bond. Sean Connery se ne va a 90 anni ma da una vita si è consegnato all’immaginario collettivo cinematografico con quella frase che è firma dell’agente 007, l’unico con licenza di uccidere. Già perché quel personaggio inventato dalla penna prolifica di Ian Fleming continua a cavalcare la storia attraverso altri volti, altre scene mozzafiato, altre donne meravigliose che gli cadono ai piedi, altri improbabili nemici dell’Occidente che mirano a conquistare il dominio planetario senza fare i conti con questo eroe senza tempo. E inesorabilmente vincente.
MAI NESSUNO COME LUI
Ma nessun volto, nessuna interpretazione per quanto apprezzabile, riuscirà mai a scalfire il mito di Sean Connery. Prova ne è che la notizia della sua morte campeggia su tutti i siti e sui quotidiani con lo spazio che si deve a un Capo di Stato, anche se sono trascorsi ormai 17 anni da quando quel signore di Glasgow che a più riprese ha fatto sentire la sua voce nel coro degli indipendentisti scozzesi, non si faceva vedere su grande schermo. Un po’ a causa di una malattia neurodegenerativa, un po’ perché il cachet richiesto ai produttori era fuori mercato.
DIVO SI’ MA FIGLIO DI DUE VERY NORMAL PEOPLE
Sean, figlio di due verynormal people, una donna delle pulizie e un camionista, prima di affermarsi come divo della Settima Arte fa di tutto: bagnino, lattaio, verniciatore di bare, fattorino, fabbro. Ha 32 anni quando i due produttori Albert Broccoli e Harry Saltzman, arrembanti e intuitivi, vedono in lui il profilo ideale di 007. Eppure devono sudare le sette camicie per convincere Ian Fleming che vede in Sean Connery una bella prestanza ma discutibili modi di fare, di esprimersi e di muoversi.
UN SUCCESSO COME QUELLO DEI BEATLES
Cambia presto idea il papà di 007 quando è costretto ad arrendersi allo strapotere mediatico esercitato da quell’affascinante giovanottone che inanella un successo dietro l’altro: da “Licenza di uccidere” a “Dalla Russia con amore”, da “Goldfinger” a “Operazione tuono”. Sono i rutilanti Anni ’60, gli anni della British Invasion musicale, dei Beatles e dei Rolling Stones che trovano in 007 il corrispettivo cinematografico. Quando l’anagrafe detta la sua implacabile legge Connery passa il testimone e si mette a recitare in film di assoluto valore come “Il nome della rosa”, “Il presidio- Scena di un crimine”.
L’OSCAR CON GLI INTOCCABILI
Torna persino a fare l’eroe nel ruolo di papà di Indiana Jones ne “L’ultima crociata” fino all’indimenticabile “Gli Intoccabili” che gli vale l’Oscar come miglior attore non protagonista. Negli Anni ’90, Connery continua a interpretare ruoli di spessore. Ma quasi all’improvviso, dopo “La leggenda degli uomini straordinari” decide di ritirarsi asserendo di essere stufo “di avere a che fare con dei cretini”. A chi scrive una volta ha detto: “Farò solo film che mi piacciano veramente. E in fondo sto constatando che posso vivere anche senza il cinema”. Un’altra volta, lo incontro a Milano in occasione di una mostra della moglie, la pittrice di origini franco-algerine Micheline Roquebrune. Parliamo di cinema: “Il mio miglior 007? “Dalla Russia con amore”. Dopo è stato un cliché cinematografico. Per questo dovevo staccarmi da quella vicenda che, beninteso, rimarrà sempre nel mio cuore”. Il mio nome è Bond. James Bond. E sarà sempre così: con il volto dall’espressione un po’ sorniona di Sean Connery, la sigaretta, lo smoking. E la voce italiana del doppiatore Pino Locchi. Ciao 007, anche tu rimani nei nostri cuori.