Il secondo processo d'impeachment contro Donald Trump inizierà domani. Il 13 gennaio la Camera aveva votato a favore della messa in stato di accusa dell'ex Capo della Casa Bianca; ora toccherà al Senato decidere se Trump è colpevole di incitamento all'insurrezione per l'assalto dei suoi sostenitori al Congresso durante la seduta del 6 gennaio scorso che stava certificando l'elezione di Joe Biden a nuovo Presidente degli Stati Uniti. Alla Camera la mozione era passata con 232 voti favorevoli: insieme ai democratici avevano votato anche 10 deputati repubblicani. Per la condanna di Trump servirà il sì di due terzi dei senatori presenti.
TRUMP PRIMO PRESIDENTE MESSO IN STATO D'ACCUSA DUE VOLTE
Comunque andrà il processo, Donald Trump è già entrato nella storia degli Stati Uniti come il primo Presidente messo sotto impeachment per due volte. All'inizio del 2020, infatti, l'allora Capo della Casa Bianca era stato processato per le presunte pressioni sul Presidente dell'Ucraina affinché aprisse un'indagine contro Joe Biden per danneggiarlo nella sua corsa verso la Casa Bianca. Il procedimento si era concluso con l'assoluzione di Trump, che era rimasto in carica. Questa seconda procedura d'impeachment si svolgerà invece dopo la fine del suo mandato e ha come scopo quello di impedirgli futuri incarichi politici. Anche questa volta la condanna di Donald Trump appare lontana: ben 17 senatori repubblicani dovrebbero votare a favore e, fino ad ora, l'obbiettivo sembra difficile da raggiungere.
LA TESI DIFENSIVA
I due avvocati di Trump, Bruce Castor e David Schoen, hanno già respinto la richiesta dei democratici di una sua testimonianza definendola una trovata mediatica. La linea difensiva dovrebbe ormai essere delineata: si sosterrà che non si può processare un Presidente decaduto e si punterà a dimostrare che Donald Trump non volesse incitare l'assalto al Congresso con le parole pronunciate durante il comizio a Washington, poche ore prima dell'attacco. “Non ci arrenderemo mai, non concederemo mai la vittoria” aveva affermato Trump durante la manifestazione del 6 gennaio scorso contro i presunti brogli elettorali. Per i difensori, inoltre, le sue affermazioni sono protette dal primo emendamento della Costituzione americana, che sancisce la libertà di parola. Nell'attacco al Congresso morirono cinque persone: quattro assalitori e un agente di polizia.