28 dicembre 2021, ore 16:33
L'elmo, venuto alla luce nel 1930 ed esposto sin quasi da subito insieme al resto del corredo nelle sale del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, ha svelato dopo quasi un secolo il segreto che custodiva gelosamente
L'elmo di Vulci
Un elmo venuto alla luce nel 1930 ed esposto sin quasi da subito insieme al resto del corredo nelle sale del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma ha svelato dopo quasi un secolo il segreto che custodiva gelosamente da quasi 2.400 anni: il copricapo fu indossato da Harnste, forse un guerriero originario di Perugia, oppure da un rivale ucciso su un ignoto campo di battaglia, che se lo portò con sé in una tomba a Vulci (Viterbo). La breve iscrizione etrusca Harnste nascosta al suo interno - spiega il Museo - era finora sfuggita all'attenzione di tutti, nonostante la cura con la quale Ugo Ferraguti e Raniero Mengarelli - artefici della scoperta - avevano trattato i materiali rinvenuti a partire dal 1928 durante le fortunatissime campagne di scavo realizzate nella necropoli dell'Osteria di Vulci. Si trattava delle prime indagini archeologiche condotte con metodo scientifico moderno nell'antica città etrusca, dopo secoli di saccheggi quasi indiscriminati. La morte prematura di entrambi gli scavatori ha impedito finora la loro pubblicazione per problemi legati anche allo studio della documentazione di scavo. I risultati dello studio scientifico dell'iscrizione e una sua prima proposta interpretativa appariranno sul prossimo numero della rivista "Archeologia Viva".
L'epigrafe
L'epigrafe, incisa all'interno del paranuca dopo la manifattura, restituisce molto probabilmente un gentilizio privo finora di riscontri puntuali nell'onomastica etrusca, a fronte di migliaia di iscrizioni note. Se si escludono gli esemplari con dediche votive e un gruppo di 60 elmi (su 150) tutti contraddistinti dal medesimo gentilizio rinvenuti sull'acropoli di Vetulonia nel 1904, sono circa una decina le armi di questo tipo caratterizzate da iscrizioni come quella appena individuata, documentate in ambito etrusco e italico tra il VI e il III secolo a.C. Si tratta, dunque, di un tipo di evidenza molto rara che offre informazioni fondamentali per la ricostruzione dell'organizzazione militare e dell'evoluzione dell'arte della guerra nell'Italia preromana. In base al suo esame tipologico e alle informazioni fornite dagli altri oggetti del corredo della tomba 55 (una delle più ricche tra quelle coeve rinvenute a Vulci), la deposizione dell'elmo può essere datata intorno alla metà del IV secolo a.C. Siamo in un'epoca caratterizzata da una forte conflittualità tra popoli che competevano per il predominio nella nostra Penisola o per la semplice sopravvivenza, minacciata dalla calata dei Celti che nel 390 avevano messo a ferro e fuoco la stessa Roma. L'elmo di Vulci si inserisce perfettamente in questo contesto e, grazie alla sua iscrizione, racconta una pagina inedita della vita di un guerriero del suo tempo, anche se non è possibile stabilire con certezza se il nome conservato coincida con quello del suo ultimo proprietario. Molti indizi, infatti, ci portano a cercare le sue origini in un'altra città, al confine tra Umbri ed Etruschi, Perugia. La lettura non comporta particolari difficoltà e consente di ricostruire una sequenza completa di 7 lettere disposte ai lati di un ribattino: 'harn ste'. Quest'ultimo ostacolo sembrerebbe essere stato considerato dall'autore dell'epigrafe la quale, molto probabilmente, va letta come un'unica parola, quasi certamente un gentilizio per analogia con le altre iscrizioni rinvenute su elmi e caratterizzate da una simile collocazione. La presenza all'interno doveva infatti essere nota solo a chi utilizzava l'elmo e, quindi, molto probabilmente doveva indicare il suo proprietario. Questo rafforzava il senso di appartenenza di un oggetto di vitale importanza che, nel nascondere le sembianze del guerriero e nel proteggerlo, diveniva la sua proiezione metaforica.