15 luglio 2022, ore 21:53
Assolti per non avere commesso il fatto, sono cadute le accuse per per la famiglia Mottola nel processo per la morte di Serena Mollicone
Sono stati tutti assolti i cinque imputati dell’omicidio di Serena Mollicone, avvenuto nel giugno del 2001 ad Arce. I giudici della Corte d'Assise di Cassino, al termine di una lunga camera di consiglio, durata ben nove ore hanno fatto cadere le accuse per la famiglia Mottola “per non avere commesso il fatto” e per gli altri due imputati: Vincenzo Quatrale, all'epoca vice maresciallo della caserma di Arce e accusato di concorso esterno in omicidio, e per l'appuntato dei carabinieri Francesco Suprano a cui era contestato il favoreggiamento. Anche per loro la formula è quella del “perché il fatto non sussiste”. La lettura della sentenza ha scatenato l’ira della folla. Ci sono stati momenti di forte tensione sia nell'aula che all'esterno del palazzo di giustizia. Qualcuno ha anche tentato di aggredire alcuni imputati. Sono dovute intervenire le forze dell'ordine per riportare la calma.
Nessuna condanna
Al termine del processo al tribunale di Cassino non è arrivata nessuna condanna per Marco Mottola, per il padre Franco, ex comandante dei carabinieri di Arce e per la moglie Anna Maria. I tre erano finiti a processo con l’accusa di omicidio volontario e la Procura aveva chiesto per loro 30 anni di carcere. “Oggi e' uscita fuori la verità, lo abbiamo sempre detto che eravamo innocenti” è stato il commento a caldo di Franco e Marco Mottola, mentre in aula qualcuno gridava verso di loro “assassini e vergogna”. La Procura ha preso atto della decisione della corte ammettendo di avere fatto tutto il possibile per arrivare alla verità su quanto accaduto nella caserma dei carabinieri di Arce nel giugno del 2001 e annunciando che farà ricorso in appello. Contrariati i parenti di Serena Mollicone “E' una meschinità ma non ci fermiamo, la verità è ben altra”, ha detto lo zio di Serena, Antonio Mollicone.
L’impianto accusatorio
Secondo l'accusa Serena venne uccisa all'intero della caserma da Marco Mottola che utilizzò la porta in legno della foresteria come arma. Il cranio della ventenne fu sbattuto violentemente contro lo stipite al culmine di una lite. Secondo quanto è stato accertato dalle perizie, Serena Mollicone morì dopo cinque ore di agonia per colpa del nastro adesivo che le era stato messo sulla bocca e sul naso. Sempre secondo l'accusa i genitori si sarebbero invece occupati dell'occultamento del cadavere. In base all'impianto accusatorio, la giovane, “dopo il violento colpo contro la porta cadde priva di sensi a causa di alcune fratture craniche ma poteva essere soccorsa”, come spiegava la ricostruzione della perizia del medico legale di parte. Ma “Fu lasciata, invece, in quelle condizioni per quattro-sei ore prima di essere uccisa dal nastro adesivo che gli è stato applicato sulla bocca e sul naso provocandone il soffocamento”.
Il movente
Secondo la Procura di Cassino, il movente sarebbe da ricercare in una lite che Marco Mottola ebbe con Serena Mollicone alcune ore prima. “Serena - ha spiegato il pm di Cassino - quel giorno si era recata dal dentista a Sora e poi salì a bordo dell'auto di Mottola per un passaggio. Con lui si fermò davanti ad un bar dove fu vista litigare con il giovane”. Secondo l’accusa, la ragazza andò poi in caserma per recuperare dei libri che aveva lasciato in auto e proprio nei locali della caserma venne aggredita. Per il pubblico ministero furono i genitori di Mottola ad occuparsi dell'occultamento del cadavere. La notte tra il primo e il 2 giugno di 21 anni fa “Franco e Anna Maria Mottola portano il corpo di Serena nel bosco”, elemento che, secondo l’accusa, è confermato anche dall'analisi dei tabulati telefonici e dal racconto di un testimone. In quel bosco, a 8 chilometri da Arce, fu ritrovato il corpo di Serena Mollicone. Era la mattina del 3 giugno 2001. I giudici della Corte d'Assise la pensano però diversamente e hanno deciso di assolvere anche Quatrale e Suprano. Entrambi, secondo l'accusa, sapevano cosa era successo in caserma, ma decisero di non parlare.