Boom di dimissioni in Italia. Cgil, ricerca di un posto migliore oppure malessere?

Boom di dimissioni in Italia. Cgil, ricerca di un posto migliore oppure malessere?

Boom di dimissioni in Italia. Cgil, ricerca di un posto migliore oppure malessere?


Nei primi 9 mesi dello scorso anno nel nostro Paese si sono registrate oltre un milione e mezzo di dimissioni. Un aumento che può avere spiegazioni molto diverse

Basta! Cambio lavoro… Chissà a quanti sarà capitato, almeno una volta nella vita, di pensarlo. Magari alla fine di una giornata faticosa, oppure per la mancanza di valorizzazione professionale o anche perché in un mercato del lavoro che cambia si intravedono meno prospettive di crescita. I dati che ci consegna oggi il ministero del Lavoro certificano, nei primi 9 mesi del 2022, una crescita delle dimissioni dal lavoro, sono 1,66 milioni, in aumento del 22% rispetto allo stesso periodo del 2021 quando erano state 1,36 milioni. Risalgono poi anche i licenziamenti.

DATI DELLE COMUNICAZIONI OBBLIGATORIE, 557MILA LICENZIAMENTI

Tra le cause di cessazione dei rapporti di lavoro, le dimissioni costituiscono, dopo i contratti a termine, la quota più alta. Risalgono anche i licenziamenti: tra gennaio e settembre 2022 sono stati circa 557mila contro i 379mila nei nove mesi del 2021, con un aumento del 47% rispetto ad un periodo in cui era però in vigore il blocco deciso in pieno periodo di pandemia.

CGIL, DIMISSIONI PER UN POSTO MIGLIORE O MALESSERE CONDIZIONI

I sindacati provano a spiegare cosa c’è dietro ai numeri delle dimissioni dal lavoro. "I dati evidenziati testimoniano la ripresa di una certa vitalità e mobilità nel mercato del lavoro, anche in ragione del superamento delle restrizioni da Covid. Naturalmente preoccupa la ripresa dei licenziamenti, che può essere legata al dato di maggiore incertezza economica e alla crisi di alcuni settori". Lo afferma la segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti. L'aumento delle dimissioni può avere spiegazioni molto differenti: da un lato può positivamente essere legata alla volontà, dopo la pandemia, di scommettere su un posto di lavoro più soddisfacente o più agile, spiega la sindacalista. Dall'altro però, soprattutto per chi non ha già un altro lavoro verso il quale transitare, potrebbe essere legato a una crescita del malessere delle lavoratrici e dei lavoratori dovuta anche ad uno scarso coinvolgimento e ad una scarsa valorizzazione professionale da parte delle imprese.

CISL, DIMISSIONI IN CRESCITA IN UN MERCATO CHE CAMBIA

"Il fenomeno delle dimissioni volontarie che, apparentemente in contraddizione con l'alto tasso di disoccupazione, continua a crescere nel nostro Paese, e ci interroga profondamente sul cambiamento del mercato del lavoro indotto anche dal 'periodo di riflessione' consentito dal lockdown durante la pandemia" spiega il segretario confederale della Cisl, Giulio Romani che sottolinea come il numero di imprese in cui si sviluppa benessere lavorativo e qualità del lavoro risulterebbe essere una minoranza. Il 95% del tessuto imprenditoriale in Italia è occupato da micro-imprese, al di sotto dei 10 dipendenti. Sono, per classe dimensionale, quelle con la minore produttività (tra le più basse in Europa), quelle all'interno delle quali mediamente si fatica di più a sviluppare forme di welfare integrativo, non si pratica la contrattazione aziendale e non si costruiscono sistemi premianti trasparenti, si eroga poca formazione, si genera minore conciliazione vita-lavoro, si intravedono le minori prospettive di crescita economica e professionali. "In un Paese - prosegue Romani - in cui il 45% dell'occupazione è offerta da questa tipologia di imprese non c'è dunque da meravigliarsi se in tanti lavoratori, soprattutto tra i più giovani, maturi la voglia di fare scelte lavorative e di vita diverse. In particolare molti non sono disposti a rinunciare alla maggiore autonomia lavorativa e ai nuovi modelli di vita e di convivenza sperimentate con lo smart working".


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