Boris Johnson va alla resa dei conti in casa Tory. Non lascia Downing Street, mentre fioccano le dimissioni

Boris Johnson va alla resa dei conti in casa Tory. Non lascia Downing Street, mentre fioccano le dimissioni

Boris Johnson va alla resa dei conti in casa Tory. Non lascia Downing Street, mentre fioccano le dimissioni


Il premier britannico resta barricato dietro il portoncino al numero 10 di Downing Street, determinato a "combattere" e a resistere finche' potrà, mentre il suo stesso governo si sfarina

Metà dei deputati della maggioranza Tory gli ritira la fiducia e molti dei ministri rimastigli fedeli fino a oggi lo implorano faccia a faccia di gettare la spugna. Ma Boris Johnson resta a Downing Street. Dopo la graticola alla Camera dei Comuni e dopo che il suo governo ha continuato a perdere pezzi ha risposto picche, secondo indiscrezioni unanime dei media, alle sollecitazioni di parte dei suoi ministri a gettare la spugna alla luce dei contraccolpi dello scandalo Pincher e dell'ondata di dimissioni nella compagine Tory. Dopo gli incontri frenetici avuti ieri sera, il premier britannico non intende gettare la spugna "vuole continuare a battersi. Pensa di avere abbastanza sostegni intorno a lui per andare avanti". E nel frattempo ha silurato il ministro Gove dopo che quest’ultimo ha invitato il premier a dimettersi. Se nulla cambierà nelle prossime ore, si potrebbe arrivare alla resa dei conti interna al partito, con una modifica per poter ripetere a stretto giro il voto sulla sfiducia dopo appena un mese da quello superato per il rotto della cuffia a inizio giugno, e non dopo un anno come prescriverebbero le regole attuali.

SCHIACCIATO SOTTO IL PESO DI SCANDALI E BUGIE

Lo scandalo a sfondo sessuale che ha travolto Chris Pincher, ex deputy chief whip della compagine in fama di molestatore seriale di uomini, e le bugie che il premier britannico pare abbia poi incaricato di dire al riguardo, hanno fatto da detonatore finale all'esplosione della crisi, dopo l'ondata di passi falsi e vicende anche più gravi (come il cosiddetto Partygate) che negli ultimi mesi hanno investito il portabandiera della Brexit: messo con le spalle al muro, per quanto protetto dalle tutele quasi blindate che il sistema britannico assicura a un leader eletto, ben prima di poter vedere fuori gioco quel Vladimir Putin contro il quale l'invasione russa dell'Ucraina gli aveva offerto il destro di misurarsi in veste di capofila della linea più dura fra gli alleati occidentali.

LE DIMISSIONI DI FUNZIONARI DI GOVERNO

Le dimissioni di due pesi massimi del consiglio di gabinetto, il cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, e il titolare della Sanita', Sajid Javid, non sono rimaste senza seguito; a dispetto dei toni di sfida con cui ieri a mezzogiorno BoJo si è presentato al Question Time del mercoledì alla Camera dei Comuni deciso a non mollare contro tutto e (quasi) tutti. "Il compito di un primo ministro nelle difficili circostanze attuali è di andare avanti come io intendo fare, avendo ricevuto un mandato popolare colossale" alle elezioni di fine 2019, ha provato a replicare sotto agli attacchi del leader laburista Keir Starmer: che non ha esitato a dargli ancora una volta del "bugiardo", bollando come "patetica" la sua resistenza a oltranza e puntando il dito allo stesso tempo sui ribelli Tories dell'ultim'ora, raffigurati alla stregua di "topi in fuga dalla nave che affonda".

LA MISSIONE (NON RIUSCITA) DEI MINISTRI

Una missione di una mezza dozzina di altri ministri, fra i più vicini al premier, si sono incaricati di presentarsi in processione a Downing Street per convince Johnson alla resa, alla via d'uscita delle dimissioni 'spontanee' suggerita per ultima persino da una lealista come la titolare dell'Interno, Priti Patel. Una via che per ora l'interessato insiste tuttavia a rigettare, ribadendo in serata in tono di sfida di non avere alcuna intenzione di "lasciare il Paese alla merce' delle questioni enormemente importanti" che deve affrontare.

LO SCENARIO

Se nulla cambierà nelle prossime, l'unica alternativa sarà a questo punto quella di un bagno di sangue interno al partito, segnata da una modifica dello statuto ad hoc per poter ripetere a stretto giro il voto sulla sfiducia alla leadership Tory di Johnson dopo appena un mese da quello superato per il rotto della cuffia a inizio giugno, e non dopo un anno come prescriverebbero le regole attuali. Salvo non ipotizzare l'avvitamento della crisi fino alla prospettiva - devastante al momento per il partito di governo - di elezioni anticipate che a parole (fra guerra in Ucraina, inflazione e venti di crisi economica globale) tutti giurano di non volere. Almeno per ora.


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