Cecilia Sala chiede di fare presto a tirala fuori dal carcere iraniano. Il racconto choc della sua detenzione
02 gennaio 2025, ore 11:30
Durante l'ultimo contatto con la famiglia e il compagno, la reporter italiana detenuta nel carcere di Teheran ha raccontato di condizioni disumane. La diplomazia in movimento per la liberazione.
Il telefono squilla, la chiamata più attesa, l’evento più sperato dalla famiglia Sala, si trasforma in un nuovo incubo. Cecilia, la reporter italiana detenuta a Evin il carcere di Teheran, dal 19 dicembre ha il suo secondo contatto con la famiglia, ma il racconto della sua detenzione è devastante. Nessuna delle rassicurazioni date dal governo Iraniano è stata rispettata: la giornalista è in una cella lunga quanto lei, senza materasso, con una coperta stesa a terra e una per proteggersi dal freddo definito doloroso da chi l’ha sperimentato. Le sono stati tolti gli occhiali, non ha ricevuto nessun genere di conforto dall’ambasciatrice italiana in Iran, Paola Amadei, l’ultima ad averla vista, lo scorso 27 dicembre. Il panettone, della cioccolata, 4 libri, una mascherina per proteggersi dalla luce accesa 24 ore su 24 non le sono stati consegnati. “tratteremo la reporter in modo dignitoso”, avevano garantito le autorità dello stato teocratico, ma il regime liberticida, fa il regime liberticida. La dignità, soprattutto delle donne, in Iran non esiste.
LA FEROCIA DEL REGIME
Errata la considerazione di riferirsi a un paradigma condiviso e interpretare le rassicurazioni iraniane nella lingua occidentale. Evin è un carcere di massima sicurezza a nord della capitale iraniana. Un posto di orrori fin dal tempo dello Scià. Simbolo della repressione del popolo e spauracchio per coloro che provano a protestare. Dopo la morte di Mahsa Amini, uccisa dalla polizia morale perché non portava il velo nel modo corretto nel 2022, si è sviluppato un movimento di protesta contro il regime chiamato Donna Vita Libertà. Molti attivisti che hanno partecipato alle manifestazioni sono stati catturati, giudicati con processi sommari e giustiziati. Se si trattava di donne, prima di essere giustiziate, venivano violentate, umiliate, picchiate per annichilire ogni barlume di speranza.
LA DIPLOMAZIA A LAVORO
La diplomazia italiana, strattonata dalle ultime rivelazioni sulla condizione della detenuta, ha usato toni perentori: ‘liberazione immediata’ e garanzie totali sulle sue condizioni di detenzione. La Costituzione iraniana proibisce ogni tipo di tortura, estorsione di confessioni o acquisizione di informazioni, costrizione degli individui a testimoniare, giuramenti forzati e isolamento. Tutte cose che si perpetrano sistematicamente all’interno delle mura di Evin.
L'APPELLO DI CECILIA
“Fate presto” è l’appello di Cecilia. Il suo destino è legato a quello di Mohammad Abedini-Najafabad — l’ingegnere iraniano esperto di droni e detenuto in Italia dal 16 dicembre per conto degli Stati Uniti —, ma in realtà ci sono già molte differenze tra le loro detenzioni: Abedini ha un materasso, delle coperte, dei libri, dei vestiti, contatti umani. Ha la certezza di un sistema giudiziario che gli garantirà un trattamento giusto, secondo le leggi del diritto internazionale. Sala è ostaggio di un Paese illiberale che sta mostrando tutta la sua ferocia nei confronti di una cittadina straniera che è andata in Iran per fare il suo lavoro con un visto giornalistico regolare.