22 ottobre 2024, ore 15:30
Per la finanza pubblica, il deficit è visto in riduzione al 3,9% nel 2024 e al 3,1% nel 2025; il debito è in aumento al 136,9% nel 2024 e al 138,5% nel 2025. Per il Centro studi degli industriali "nei prossimi anni diversi fattori mettono a rischio il Pil"
"Rallenta la crescita in Italia". All'appuntamento con il rapporto per le previsioni economiche di autunno il Centro Studi di Confindustria ha limato al ribasso le sue stime per il Pil 2024, di un decimo di punto percentuale al +0,8%, e per il Pil 2025, di due decimi di punto percentuale allo 0,9%.
L’effetto
Incide l'effetto che le revisioni Istat sul Pil 2023 hanno sull'eredità statistica per il 2024. Queste le principali previsioni per l'economia italiana degli economisti dell'associazione degli industriali per quest'anno e per il prossimo: la tabella riporta le variazioni percentuali previste tranne che per il tasso di disoccupazione, espresso in percentuale, e per indebitamento e debito della pubblica amministrazione espressi in percentuale del Pil. Per l'occupazione il dato statistico delle 'ula' corrisponde ad 'unità equivalenti di lavoro a tempo pieno'.
Le stime
2024 2025 Prodotto interno lordo 0,8 0,9 Consumi delle famiglie residenti -0,1 0,9 Consumi collettivi 0,0 1,3 Investimenti fissi lordi 0,5 -1,3 Esportazioni di beni e servizi 0,6 2,0 Importazioni di beni e servizi -2,9 1,9 Occupazione totale (Ula) 1,4 0,5 Occupazione totale (persone) 1,7 0,9 Tasso di disoccupazione 6,5 6,0 Prezzi al consumo 1,1 1,8 Retribuzioni pro-capite 4,2 3,1 Indebitamento della P.a. 3,9 3,1 Debito della P.a. 136,9 138,5.
Il rapporto
Secondo quanto emerge dal rapporto di previsione dell'autunno 2024 del Centro studi di Confindustria, presentato alla Camera, la dinamica del Pil nella media del 2024 sarà sostenuta prevalentemente dalle esportazioni nette e in misura minore dagli investimenti fissi lordi. Nel 2025, invece, l'elemento trainante sarà costituito dai consumi delle famiglie. "In Italia la crescita è dello 0,4% rispetto alla prima metà del 2024, percentuale positiva anche a fronte dell'inflazione dello 0,7%. Uno 0,4% spinto quasi interamente dalla dinamica dei servizi, mentre negli altri settori il valore aggiunto è sceso", ha spiegato Alessandro Fontana, direttore del Centro studi di Confindustria, che ha illustrato il rapporto. "Abbiamo una fase particolare dove le costruzioni risentono della fine del superbonus, mentre l'industria è quasi sempre in negativo per quanto riguarda la crescita del valore aggiunto. Il particolare è che solo alcuni settori dell'industria stanno decrescendo, come la pelletteria, l'abbigliamento, mentre altri, come quello della difesa ma anche della carta, sono in momenti di complessiva positività", ha aggiunto. Altro tema di sostanziale rilevanza quello legato agli investimenti del Pnrr, con tranche che in Italia si attestano superiori rispetto a quelle degli altri Paesi dell'Unione Europea, con una consapevolezza diffusa sul contributo di primo livello che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza potrà fornire all'Italia: "Sul Pnrr abbiamo una massa sostanziale di risorse da spendere, oltre cento miliardi, tra quest'anno e il prossimo. La metà di queste saranno spese quest'anno, secondo nostre previsioni, mentre due terzi l'anno prossimo. Una somma molto importante, anche comparativamente agli altri Paesi europei, rispetto ai quali siamo in una situazione di vantaggio", ha sottolineato Fontana.
Le retribuzioni
Prosegue inoltre il recupero delle retribuzioni reali, nel pubblico come nel privato. Per quest'ultimo è stato recuperato il 40% della perdita di potere d'acquisto, a fronte di un'inflazione bassa, mentre nel pubblico le retribuzioni reali sono ancora in negativo del 9%. In un tempo rapido, però, l'Italia sta cercando di recuperare in termini di salari, mentre per quanto riguarda l'export il contributo maggiore alla crescita verrà dall'export netto, questo per una forte caduta dell'import, influenzato da rifornimenti energetici in calo rispetto al passato". Note liete alle quali si affiancano i nodi del presente, che in Italia sono ormai riconosciuti in lavoro, alloggi e politiche green, con costi di sostenimento elevati che, specialmente in questi ultimi due casi, rallentano la mobilità dei lavoratori e influiscono sulla competitività delle aziende: "Bisogna mantenere alta l'attrattività del lavoro in Italia, all'interno di un complesso scenario di rapporto tra calo demografico e carenza di lavoratori", osserva ancora il direttore del CSC. Tra il 2024 e il 2028 la componente demografica, tenendo conto del saldo migratorio, porterà una minore offerta di lavoro corrispondente a 520mila unità, avendo così tra quattro anni un fabbisogno di 850mila unità. C'è sicuramente possibilità di intervenire sull'aumento del tasso di occupazione, ma questo significa accrescere l'occupabilità dei lavoratori, attraendo chi non ne fa parte, in particolare donne e giovani. È importante intervenire anche sul fattore alloggi - ha evidenziato -, dove a Milano lo squilibrio è abbastanza evidente, ma la questione si allarga a quasi tutto il centro-nord. Nodo di competitività fondamentale, così come quello legato a ETS e CBAM, strumenti creati con l'intento di ridurre le emissioni della manifattura europea, costruiti per far sì che annualmente la quota delle emissioni venga ridotta. Un processo - ha chiosato - che negli ultimi anni ha subito un'accelerazione, con una limitazione che fa crescere il prezzo del carbonio per chi lavora nel settore. Questo provoca certamente un calo della competitività, del quale le imprese italiane indubbiamente soffrono", ha concluso Fontana.