Corte costituzionale, no al riconoscimento dei non binari: “Sul terzo genere deve decidere il legislatore”

Corte costituzionale, no al riconoscimento dei non binari: “Sul terzo genere deve decidere il legislatore”

Corte costituzionale, no al riconoscimento dei non binari: “Sul terzo genere deve decidere il legislatore”   Photo Credit: Agenzia Fotogramma


23 luglio 2024, ore 16:48

Per la Consulta inoltre il Parlamento, “che è il primo interprete della sensibilità sociale”, sarà chiamato anche a “tener presente le indicazioni del diritto comparato e dell'Unione europea". Si dichiarano soddisfatti per il contenuto del verdetto i Pro vita

Non è ammissibile la rettifica di attribuzione di sesso "in un genere non binario" nell'atto di nascita ma la parola deve passare al Parlamento, al legislatore, che deve affrontare la questione in quanto "primo interprete della sensibilità sociale". E' quanto cristallizza la Corte Costituzionale chiamata in causa su una questione di legittimità sollevata nei mesi scorsi dal tribunale di Bolzano dopo la richiesta di un transgender, biologicamente donna ma che stava transitando nel genere maschile, che voleva rettificare il sesso nell'atto di nascita da 'femminile' ad 'altro'.

La sentenza

Nella sentenza, la numero 143, i giudici della Consulta dichiarano quindi inammissibili le questioni sollevate sulla legge in tema di "rettificazione di sesso sull'atto di nascita", una norma che risale al 1982, nella parte in cui "non prevede che la rettificazione possa determinare l'attribuzione di un genere "non binario" (né maschile, né femminile)". Per i giudici "l'eventuale introduzione di un terzo genere di stato civile avrebbe un impatto generale - è detto nella sentenza - che postula necessariamente un intervento legislativo di sistema, nei vari settori dell'ordinamento e per i numerosi istituti attualmente regolati con logica binaria". La Corte mette in luce tuttavia che "la percezione dell'individuo di non appartenere né al sesso femminile, né a quello maschile - da cui nasce l'esigenza di essere riconosciuto in una identità "altra" - genera una situazione di disagio significativa rispetto al principio personalistico" riconosciuto nell'articolo 2 della Carta costituzionale e che "nella misura in cui può indurre disparità di trattamento o compromettere il benessere psicofisico della persona" può "sollevare un tema di rispetto della dignità sociale e di tutela della salute".

La condizione

Per la Consulta, quindi, la "condizione non binaria" deve necessariamente finire "all'attenzione del legislatore" anche tenendo presente le indicazioni "del diritto comparato e dell'Unione europea". Per il legale della persona che ha sollevato la questione siamo in presenza di "un ottimo risultato, in linea con le aspettative. L'eliminazione dell'autorizzazione tramite la dichiarazione di incostituzionalità rende giustizia ad una legge oramai obsoleta - afferma l'avvocato Alexander Schuster - non più al passo con i tempi. Il Parlamento deve agire quanto prima. La Consulta ha visto ciò che qualche anno fa la Cassazione ha voluto ignorare".

I Pro Vita

I Pro Vita sottolineano come la Consulta abbia "negato la possibilità di riconoscere nei Tribunali una presunta terza identità sessuale non binaria" e questo, sostengono, inficia anche "la carriere alias nella scuola che sono illegittime". Nella sentenza, infine, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma in tema di adeguamento dei caratteri sessuali mediante trattamento medico-chirurgico nella parte in cui prescrive "l'autorizzazione del tribunale" anche qualora le "modificazioni dei caratteri sessuali già intervenute, siano ritenute dallo stesso tribunale sufficienti per l'accoglimento della domanda di rettificazione di attribuzione di sesso". I giudici affermano, in sostanza, che potendo il percorso di transizione di genere "compiersi già mediante trattamenti ormonali e sostegno psicologico-comportamentale, quindi anche senza un intervento di adeguamento chirurgico", la "prescrizione dell'autorizzazione giudiziale denuncia una palese irragionevolezza, nella misura in cui sia relativa a un trattamento chirurgico che avverrebbe comunque dopo la già disposta rettificazione". 



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