Da cento giorni 18 pescatori di Mazara del Vallo sono tenuti in carcere in Libia, una telefonata poi il silenzio

Da cento giorni 18 pescatori di Mazara del Vallo sono tenuti in carcere in Libia, una telefonata poi il silenzio

Da cento giorni 18 pescatori di Mazara del Vallo sono tenuti in carcere in Libia, una telefonata poi il silenzio


09 dicembre 2020, ore 16:00

Due pescherecci sono stati sequestrati da motovedette libiche il primo settembre, da allora silenzio, il governo non interviene

Ci sono diciotto pescatori che da 100 giorni sono tenuti in carcere in Libia, nella zona della Cirenaica. Sei italiani, due indonesiani, due senegalesi e otto tunisini, sono in stato di fermo. Due pescherecci di Mazara del Vallo, il “Medinea” e l”Antartide” sono stati sequestrati, il primo settembre, da alcune motovedette libiche a 40 miglia da Bengasi. Sono acque internazionali, per il diritto, ma rivendicate come proprie dalla Libia. Ormai da molti anni, unilateralmente, i libici hanno alzato a 74 miglia dalla loro costa il limite delle acque territoriali.

Dove si trovano i pescatori

I marittimi si trovano nel carcere-caserma di El Kuefia, non lontano da Bengasi. Quella è la terra del generale Khalīfa Belqāsim Ḥaftar Alferjani, oppositore del riconosciuto premier di Tripoli Fayez al-Sarraj. È il momento peggiore per finire dentro il caos libico. I rapporti internazionali sono complessi. Di questa vicenda se ne è parlato pochissimo. In realtà le vicende che riguardano i sequestri di pescherecci da parte della Libia diventano sempre, e non si capisce il perché, notizie sottotraccia. Molti familiari dei pescatori sperano che l’arrivo del Natale e delle festività possa accelerare le trattative. Il ministero degli Esteri non parla. E la situazione diventa sempre più ingarbugliata. Addirittura qualche ora fa si è chiesto l’intervento delle forze speciali. La richiesta non è venuta da un politico, ma da una Eccellenza Reverendissima, cioè dal vescovo di Mazara del Vallo.

Le parole del Vescovo di Mazara del Vallo

"Quella che è stata compiuta è un’ingiustizia, perché non ci sono ragioni che giustificano questo durissimo e gravissimo atto di ostilità". Monsignor Domenico Mogavero ha usato parole durissime: "Quello che fino ad ora è stato consentito ai familiari" riferendosi a due brevi telefonate consentite tra i parenti e i sequestrati "è davvero troppo poco. Ora diciamo basta: è ora che chi di dovere intervenga, anche con corpi speciali, affinché i pescatori possano fare rientro nelle loro famiglie". Per il vescovo di Mazara del Vallo il “caso” dei 18 pescatori riporta alla luce l’annosa questione delle acque internazionali: "Chi ha la responsabilità deve impegnarsi affinché questi episodi non si ripetano più; in altri tempi abbiamo tollerato episodi simili che si sono conclusi in tempi molto più ravvicinati. Adesso diciamo che è stata superata ogni misura". Oltretutto la Diocesi paga le utenze domestiche e sostiene le famiglie dei 18 pescatori (cattolici e musulmani).

L'ultimo contatto, una telefonata collettiva

L’unico, e ultimo, contatto ufficiale con i marittimi risale allo scorso 11 novembre. Durante una telefonata collettiva soltanto gli italiani hanno potuto comunicare con i loro parenti. Poi il silenzio. Perché? Il quotidiano Avvenire, molto attento alle vicende libiche, ha una teoria: ”È una storia di gambero rosso e di oro nero. Di ostaggi usati come bottino da mettere all’asta in una partita a poker con troppi giocatori. Dal generale Haftar che cerca un appiglio per non finire definitivamente scaricato dai protettori russo-egiziani, alla Francia che può incassare la gratitudine dell’Italia dopo anni di contrapposizione in terra libica. Da cento giorni 18 pescatori siciliani sono prigionieri del signore della guerra Khalifa Haftar. E nel negoziato, non sapendo più a che santo votarsi, anche la diplomazia maltese si offre per dare una mano e trovare una soluzione entro Natale. La mediazione è difficile. Ad ogni apparente punto di svolta sembra che i negoziatori debbano ricominciare daccapo. Il generale ribelle, che dopo aver fallito l’assalto a Tripoli sta tentando di riguadagnare peso, sta giocando la carta dello scambio di prigionieri, assicurando di voler riportare a Bengasi quattro libici arrestati in Sicilia cinque anni fa, condannati a 30 anni ciascuno in primo e in secondo grado a Catania per la morte in mare di 49 migranti nel 2015. Uno scambio impraticabile per l’Italia”.


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