David Bowie è morto a 69 anni per cancro

David Bowie è morto a 69 anni per cancro

David Bowie è morto a 69 anni per cancro


Dopo una lunga battaglia il grande artista si è spento circondato dai familiari

David Bowie è "morto oggi pacificamente sostenuto dalla sia famiglia dopo 18 mesi di battaglia contro il cancro", lo ha annunciato la famiglia della rockstar britannica sull'account Facebook e Twitter ufficiale dell'artista. Bowie aveva compiuto 69 anni venerdì scorso e pubblicato il suo ultimo album "Blackstar".

La famiglia chiede di "rispettare la sua privacy" pur sapendo che il loro dolore "sarà condiviso da molti". Dell'artista inglese era uscito solo pochi giorni fa "Blackstar", il 27/mo album di una carriera musicale che mosse i primi passi 49 anni fa. Il premier britannico David Cameron in un tweet ha scritto: "Sono cresciuto ascoltano e guardando il genio pop di David Bowie. Era un maestro nel reinventarsi e continuava ad azzeccarci. Una perdita enorme".

Bowie è colui che ha elevato la musica rock a ciò che si può definire forma d’arte. Spinto da una dinamica più complessa rispetto alla maggior parte degli artisti pop, David Bowie vive in un mondo singolare, fatto di suoni straordinari e visioni senza confini. Restio a impelagarsi nella monotonia dell’olimpo del rock e determinato a evitare la discesa negli avvilenti e degradanti gironi dei cliché, Bowie scrive ed esegue ciò che vuole, quando vuole lui. La sua assenza alla miriade di eventi speciali e cerimonie di premiazione non fa che alimentare ipotesi sulle sue prossime mosse.

David Robert Jones nasce a Brixton (Londra) l’8 gennaio 1947. All’età di 13 anni, ispirato dal jazz del West End di Londra, prende in mano il sassofono e va a lezione da Ronnie Ross. Le prime band con cui suona – Kon-Rads, King Bees, Mannish Boys e Lower Third – gli permettono di muovere i primi passi nell’appariscente mondo del pop e del mod, e nel 1966 è David Bowie, con i capelli lunghi e la voglia di diventare una star. Kenneth Pitt diventa il suo manager, e la carriera di David inizia con una manciata di singoli perlopiù dimenticati e una testa piena di idee. Il successo in classifica arriva soltanto nel 1969, con la leggendaria “Space Oddity” (che raggiunge la posizione numero 5 nel Regno Unito). Nel corso delle sue peregrinazioni musicali alla fine degli anni ’60, il giovane Bowie sperimenta con tecnica mista, cinema, mimo, buddismo tibetano, recitazione e amore. Un primo album, inizialmente intitolato David Bowie e successivamente Man of Words, Man of Music, rende omaggio alle caleidoscopiche influenze della scena artistica londinese, rivelando già un talento compositivo che firmerà alcune delle più belle e indimenticabili pagine del rock... Anche se il resto del mondo ci metterà qualche anno per rendersene conto.

Primi anni ‘70

The Man Who Sold The Word è il primo album di David Bowie a essere inciso come entità a sé e rappresenta il primo continuum creativo per l’ascoltatore. Le chitarre di Mick Ronson sono spesso ritenute il punto di partenza per l’heavy metal, ed è certamente possibile individuare nell’album i prodromi del glam rock. L’album esce per la Mercury nell’aprile 1971 quasi in sordina, e quella primavera Bowie va per la prima volta negli USA a promuoverlo. Nel maggio dello stesso anno nasce Duncan Zowie Haywood Bowie, figlio di David e dell’allora moglie Angela.

RCA diventa la nuova etichetta di Bowie e, dopo un viaggio in America a sbrigare la relativa burocrazia, David torna a Londra a incidere due album praticamente uno di seguito all’altro. Hunky Dory nasce da un demo di sei canzoni che aveva indotto l’etichetta a mettere Bowie sotto contratto, e contiene “Changes” e “Life On Mars?”. Quasi contemporaneamente esce The Rise and Fall of Ziggy Stardust and The Spiders from Mars, che diventa subito un classico: un disco senza il quale la lista dei migliori album di tutti i tempi sarebbe semplicemente incompleta.

Il 1972 è l’anno in cui Bowie si afferma come superstar di livello internazionale. Dylan Jones, direttore di GQ, definisce così la storica esibizione del 6 luglio 1972 a Top Of The Pops, nel corso della quale Ziggy si materializza inaspettatamente, per la prima volta, in milioni di case cantando “Starman”, singolo di punta dell'album: “Questa è la performance con cui Bowie è diventato una star e il suo personaggio di Ziggy Stardust è entrato nella coscienza nazionale”. Presentato in anteprima a Londra quella primavera, lo show di Ziggy Stardust, la rockstar extraterrestre creata da Bowie, è uno dei più spettacolari e innovativi mai realizzati, che amplia i canoni del concerto rock e innesca un’esplosione glam a livello mondiale.

Tuttavia le luci della ribalta internazionale non distraggono Bowie dalla sua brillante e prolifica attività creativa. L’estate del 1972 lo vede alla console per due album diventati ormai classici: Transformer di Lou Reed – disco fondamentale per la storia musicale di New York, contenente “Walk on the Wild Side”, brano fuori dagli schemi che a sorpresa diventa una hit – e Raw Power di Iggy & The Stooges, il cui terrificante ibrido glam proto-punk influenzerà le generazioni future (in seguito Bowie produrrà The Idiot e Lust for Life, il primo dei quali contiene “China Girl”, scritta da David insieme Iggy, che successivamente riapparirà su Let’s Dance). Come se il 1972 non fosse abbastanza denso, Bowie produce anche i Mott the Hoople (All The Young Dudes, per il quale scrive la hit omonima).

Nel settembre 1972 inizia lo Ziggy tour americano, con concerti sold out a base di splendidi costumi ispirati al teatro giapponese e alla fantascienza interstellare, chitarre ringhianti di Mick Ronson e un approccio audace alla performance che manda gli spettatori in visibilio per il loro messia ultraterreno. Nella primavera del 1973 Ziggy aveva già fatto il giro del mondo, e orde di giovani da Londra al Giappone si rasano i capelli ai lati e saltellano sulle loro nuove zeppe al suono di “Suffragette City”. Il 3 giugno 1973, con un clamoroso colpo di scena, Bowie uccide Ziggy and the Spiders, presentando “Rock n Roll Suicide” con queste parole: “Dei concerti del tour, questo rimarrà con noi più di tutti, non solo perché è l’ultima data, ma perché è l’ultimo concerto che faremo”. Tutti rimangono sorpresi, soprattutto i componenti della band.

Mentre la febbre per Ziggy è alle stelle, nell’aprile 1973 esce Aladdin Sane, ispirato alle esperienze vissute da Bowie nel corso della tournée americana. L’album contiene “The Jean Genie”, “Panic in Detroit”, “Drive-In Saturday”, “Cracked Actor” e naturalmente la title track con il frenetico assolo di pianoforte di Mike Garson. Dopo aver archiviato lo show Stardust, Bowie va in Francia a iniziare a lavorare agli album successivi. Pubblicato nell’ottobre 1973, Pin-Ups, disco di cover di artisti che Bowie ammirava nel periodo londinese 1964-1967, segna la sua collaborazione con Mick Ronson come chitarrista e Ken Scott come produttore. Nell’aprile 1973 si apre una nuova fase creativa: esce l’epico e distopico di Diamond Dogs. Carico di tensione e di presagi, punteggiati dalla graffiante title track e dall’immortale inno glam “Rebel Rebel”, Diamond Dogs presenta uno spessore concettuale in forte contrasto con la disco music che inizia a popolare l’etere. Nell’estate del 1974 David Bowie intraprende il suo più ambizioso tour americano a tutt’oggi, con un’enorme scenografia e tableau vivant. Registrato al Tower Theatre di Filadelfia, il doppio album David Live costituisce un souvenir di queste performance.

Metà anni ‘70

Se quei due album precedenti rivelavano un certo interesse da parte di Bowie per la musica che aveva ascoltato in America, il soul americano filtrato attraverso una sensibilità inglese – e squisitamente Bowie – ben presto diventa più che un semplice tributo. Nel 1975 David esprime appieno questa passione con Young Americans. Disco straordinario, ricco di ritmo e di soul, non contiene solo la hit omonima, ma anche il primo singolo di Bowie a raggiungere la vetta delle classifiche americane: “Fame”, brano nato da una collaborazione improvvisata con John Lennon all’Electric Lady di New York, poi aggiunto all’LP all’ultimo minuto. Young Americans vede anche la partecipazione di un altro talento scoperto da David, Luther Vandross, che presto si affermerà in tutto il mondo come icona dell’R&B. Corista live di Bowie, Vandross è chiamato a cantare nell’album, al quale contribuisce insieme ad altri giovani artisti americani straordinari, come Willie Weeks, Andy Newmark, David Sanborn e Mike Garson.

Poco dopo l’uscita di Young Americans, David si trasferisce a Los Angeles e interpreta L’uomo che cadde sulla Terra, classico di fantascienza diretto da Nic Roeg. Quasi subito dopo la fine delle riprese, Bowie torna in studio per incidere Station to Station, una sorta di diario di viaggio contenente “Golden Years”, brano di apertura di oltre 10 minuti, “Stay” e “TVC15”, favola profetica di una TV olografica che inghiotte la fidanzata del narratore. Segue il The White Light Tour, con il quale Bowie dà vita al personaggio del Duca Bianco (citato nel testo di “Station to Station”) e si allontana dalla variopinta teatralità delle tournée precedenti per prediligere un’atmosfera da film espressionista tedesco in bianco e nero, che esalta l’impatto drammatico di ogni concerto. In questo periodo RCA pubblica anche la prima raccolta di successi di David, ChangesOneBowie, che esce nel maggio 1976. Per nulla intenzionato a restare troppo tempo in un posto, poco dopo la fine del tour David si trasferisce a Berlino, nel quartiere Schöneberg.

Fine anni ‘70

Difficile dire se Bowie si trovi dove si muovono le cose o se le cose si muovano dove si trova lui, fatto sta che le placche sismiche della storia si muovono sotto l’Hansa Studio di Berlino nel 1976, durante le sedute di registrazione del nuovo disco di David. La cortina di ferro divide ancora l’Europa e soprattutto Berlino, dove David e Iggy sono rintanati. La musica che ne viene fuori fa da contrappunto atmosferico all’emergente scena punk londinese. Nel 1977 David torna misteriosamente sui palchi inglesi per suonare le tastiere durante il tour Iggy. Una produzione ridotta all’osso mette in luce la sua influenza, imprevista e onnipervasiva, e si sposa perfettamente con il mood dell’epoca. Di lì a breve, tuttavia, Bowie tornerà al centro della scena.

Nel 1977 esce Low, prodotto da Bowie e Tony Visconti in collaborazione con Brian Eno. Primo capitolo della famosa trilogia berlinese, l’album inizialmente disorienta critici e pubblico con canzoni che escono completamente dai precedenti canoni di Bowie. Diverse da qualsiasi cosa mai sentita prima. Il lato A contiene sette brevi brani di pop futuristico, aperti e chiusi da due strumentali, “Speed of Life” e “A New Career in a New Town”. Il lato B, contenente quattro ipnotici pezzi ambient, inizia con “Warszawa”, composizione a firma Bowie/Eno che dura oltre 6 minuti. In un’intervista con una radio francese, Bowie spiega: “Berlino ha la strana capacità di farti scrivere solo le cose importanti. Il resto non lo consideri nemmeno… e alla fine produci Low”. Surrealismo e sperimentazione sono le parole d’ordine, e il modo in cui Low riassume queste tecniche in un territorio musicale fino ad allora inesplorato è oggi considerato l’inizio di un altro picco creativo di Bowie, durante il quale nascono peraltro due singoli molto amati come “Sound and Vision” e “Be My Wife”.

Il secondo disco del trittico, Heroes, è dominato da Robert Fripp alla chitarra e presenta un’atmosfera complessiva più ottimistica. Lo si percepisce fin dal primo brano, “Beauty and the Beast”, che cresce sempre di più, così come dai brani rock “Joe The Lion” e “Blackout”, e da “Sons of the Silent Age”, ballad post-punk scura e affascinante. La title track, uno dei più bei singoli di Bowie, è forse una delle canzoni d’amore che hanno fatto la storia della musica. In oltre 6 minuti di pura bellezza dal sapore motorik racconta la relazione proibita tra due amanti vicino al muro di Berlino. Come per Low, anche il lato B di Heroes è prevalentemente caratterizzato da brani strumentali, tuttavia la suite di cinque brani offre gli accordi maggiori di “V-2 Schneider” come contrasto alla cupezza di “Sense of Doubt”. Heroes si chiude con un tocco allegro, “The Secret Life of Arabia”, che lascia intuire la prossima infatuazione culturale di Bowie.

La sua successiva incursione nel cinema è Gigolò, che Bowie descrive come “tutti i miei 32 film di Elvis Presley in uno”. Nel marzo 1978 David è in tour per la prima volta dalla pubblicazione di Station to Station. Nel settembre dello stesso anno esce Stage, registrato nel corso di vari concerti negli USA e contenente versioni live di brani del periodo berlinese insieme ai classici di Ziggy Stardust, Young Americans and Station to Station. Nel mese di maggio, durante una pausa del tour, Bowie narra Pierino e il lupo con la Philadelphia Orchestra, il primo di tanti progetti per bambini che sosterrà nel corso degli anni (ora fuori catalogo, il risultato è un album in vinile verde da collezione). Segue un trasferimento in Svizzera, dalla quale spesso si allontana a causa della sua crescente passione per l’Indonesia, l’Africa e l’Estremo Oriente.

Lodger, dal titolo particolarmente azzeccato (“pigionante”), esce nel maggio 1979 e completa la trilogia berlinese con un viaggio in musica e testi che si spinge ben oltre l’Europa della Guerra Fredda rispetto ai suoi predecessori. Ultima collaborazione con Eno degli anni ‘70, Lodger è il primo album di Bowie con Adrian Belew alla chitarra in un lato A che ci porta in giro per il mondo: si apre con “Fantastic Voyage”, seducente riflessione su una potenziale apocalisse nucleare, e si chiude con “Red Sails”, reinterpretazione orientale degli ipnotici ritmi krautrock. Il lato B contiene classici come “DJ”, “Look Back in Anger” e “Boys Keep Swinging”, il cui groove caotico è ottenuto spostando il chitarrista Carlos Alomar alla batteria e il batterista Dennis Davis al basso.

Per Lodger Bowie non fa nessun tour promozionale, ma la sua partecipazione al Saturday Night Live con tre brani live è una delle più straordinarie e indimenticabili che si ricordino. Coadiuvato dagli avanguardisti newyorkesi Klaus Nomi e Joey Arias, Bowie esegue “The Man Who Sold The World” immobile, in smoking di plastica, all’interno di un gigantesco vaso da fiori, quindi “TVC15” in gonna e tacchi, e infine “Boys Keep Swinging” con la sua testa sovrapposta al corpo di un pupazzo (forse dotato di tutti gli attributi?) grazie alla tecnica del chroma key. Mentre il 1979 sta per volgere al termine, Bowie è di nuovo in studio di registrazione. Iniziano anche le prove per il suo esordio a Broadway nel ruolo di The Elephant Man, che va in scena nel settembre 1980 e riceve recensioni entusiastiche.

Anni ‘80

Scary Monsters… and Super Creeps esce nel settembre dello stesso anno. Prodotto da Bowie e Visconti, il primo album di Bowie del nuovo decennio è anticipato da “Ashes to Ashes”, primo singolo con cui Bowie raggiunge la vetta delle chart inglesi. Il brano riesuma il personaggio di Major Tom, conosciuto con “Space Oddity”, e riflette sul suo destino. “Ashes to Ashes” e il successivo singolo “Fashion” sono accompagnati da videoclip memorabili, che contribuiranno a fare la storia dell’allora nascente MTV. Altri singoli tratti dall’album sono la title track e “Up The Hill Backwards”, che fanno di Scary Monsters… uno straordinario e riuscito numero di equilibrismo tra ambizioni artistiche e successo commerciale. Il disco vede il ritorno di Robert Fripp alla chitarra, la partecipazione di ospiti come Pete Townshend e l’ultima apparizione della sezione ritmica che accompagnava Bowie dal 1976, composta da Carlos Alomar (chitarra), Dennis Davis (batteria) e George Murray (basso).

Come per Lodger, Bowie non va in tournée per promuovere Scary Monsters... La relativa calma del 1981 è interrotta nel mese di ottobre dall’uscita di “Under Pressure”, brano scritto e inciso da Bowie insieme ai Queen in Svizzera. Inclusa nell’album Hot Space dei Queen l’anno successivo, la canzone diventa a sorpresa una hit mondiale, nonché il secondo singolo di Bowie a raggiungere il numero 1 delle chart inglesi. Il brano conquista la vetta delle classifiche di tre paesi ed entra nella Top 10 in altre nove nazioni.

Nel 1982 Bowie si concentra su vari progetti cinematografici: interpreta il protagonista maschile di Miriam si sveglia a mezzanotte, veste i panni di Celliers in Furyo, acclamata pellicola ambientata nella seconda guerra mondiale, e scrive il tema musicale del film Il bacio della pantera diretto da Paul Schrader. Nel corso dell’anno esce un secondo greatest hits, ChangesTwoBowie.

L’aprile 1983 vede un nuovo cambio di scena. Let’s Dance, primo disco di Bowie pubblicato per EMI, diventa in breve tempo l’album di maggior successo della sua carriera. Il disco vende 7 milioni di copie nel mondo e la title track conquista la vetta delle classifiche in oltre mezza dozzina di paesi, seguita da altre due hit che entrano nella Top 10, ovvero “Modern Love” e “China Girl”, brano scritto insieme a Iggy Pop la cui versione era uscita su The Idiot nel 1977. Prodotta da Nile Rodgers con il compianto Stevie Ray Vaughan alla chitarra e caratterizzata da una base ritmica creata da Bernard Edwards, Omar Hakim e Tony Thompson, “Let’s Dance” è molto più di una hit mondiale. L’influenza esercitata dal mix di fluide e ricche chitarre blues-rock, potente groove funk e melodie vocali irresistibili è palese in artisti come Duran e, più recentemente, Killers, Franz Ferdinand e LCD Soundsystem.

Un mese dopo l’uscita di Let’s Dance, il Serious Moonlight Tour segna il trionfale ritorno di Bowie sui palcoscenici. La tournée supera ogni aspettativa e consacra Bowie come artista in grado di riempire gli stadi di tutto il mondo. Ogni concerto registra il tutto esaurito, comprese le date multiple al Madison Square Garden di New York e al Milton Keynes Bowl in Inghilterra. I concerti singoli totalizzano oltre 50, 80 e 100.000 spettatori negli stadi e negli spazi all’aperto in USA, Europa, Nuova Zelanda e altri paesi ancora. Quando il tour si conclude a Hong Kong nel mese di dicembre, Serious Moonlight ha venduto oltre 2,5 milioni di biglietti in 15 paesi. Due mesi prima, RCA aveva pubblicato Ziggy Stardust: The Motion Picture Album, che catturava tutta l’energia dell’ultimo concerto di Ziggy and the Spiders. Poco dopo esce anche il film, girato nel 1973.

Il vivace romanticismo introdotto con Let’s Dance prosegue con Tonight (1984), sebbene a posteriori il singolo “Loving the Alien” appaia sinistramente profetico, viste le crescenti tensioni tra musulmani e cristiani. Un’emozionante performance al Live Aid (durante la quale dedica “Heroes” al giovane figlio), un singolo in duetto con Mick Jagger, un terzo successo consecutivo con l’album Never Let Me Down (1987) e relativo Glass Spider Tour (con Peter Frampton alla chitarra solista) mantengono alta la popolarità di Bowie. Tuttavia nel 1988, con una svolta inaspettata, Bowie smette di essere un solista per formare una nuova band, i Tin Machine. David chiama a rapporto i fratelli Hunt e Tony Sales (figli di Soupy e storica sezione ritmica di Runt di Todd Rundgren e di Lust For Life di Iggy Pop, solo per citarne alcuni) e l’innovativo chitarrista bostoniano Reeves Gabrels: è determinato a fare dei Tin Machine una band a tempo pieno, non il progetto solista di una superstar. Con due album che vendono milioni di copie (oltre a un disco live in edizione limitata), i Tin Machine si dimostrano una moderna live band alternative, con un sound essenziale incentrato sulle chitarre, materiale tutto nuovo e alcune vere sorprese (una cover dei Pixies!). Alcuni fan li adorano, altri rimangono perplessi, ma Bowie pone rapidamente fine alla discussione sciogliendo il gruppo poco dopo l’uscita del secondo album nel 1991.

Anni ‘90

Il nuovo decennio si apre con il Sound + Vision Tour del 1990. Con una band affiatata che vede Adrian Belew alla chitarra solista e Edouard Lock degli La La La Human Steps alla direzione artistica, Sound + Vision è concepito come un addio ai più grandi successi di Bowie, alcuni dei quali vengono eseguiti dal vivo per l’ultima volta proprio nel corso di questo tour. Sound + Vision supera Serious Moonlight e Glass Spider, con 108 concerti in 27 paesi. Con una mossa che anticipa i tempi moderni in cui le scalette vengono create in base alle preferenze del pubblico, Bowie invita i fan a votare le canzoni che desiderano sentire al concerto chiamando 1-800-2-BOWIE-90. Il tour è accompagnato da una compilation omonima, pubblicata in lussuose edizioni deluxe da Rykodisc.

Il 1993 segna l’atteso ritorno di David Bowie solista, con i progetti Black Tie White Noise e uno dei primi CD-ROM rock intitolato Jump. L’album, prodotto nuovamente da Nile Rodgers, rappresenta quasi un aggiornamento delle diverse fasi della carriera di Bowie: il brano strumentale di apertura, “The Wedding” (ispirato al matrimonio di Bowie con la modella Iman), offre un ritorno più allegro e in chiave dance-house al sound di Low; il singolo “Jump They Say” richiama i momenti più funky; la cover di “I Feel Free” dei Cream segna un’attesa reunion con un collaboratore dei tempi di Ziggy, Mick Ronson (che di lì a breve morirà). Piazzatosi al numero 1 delle classifiche inglesi degli album, Black Tie White Noise rassicura i fan che la curiosità creativa di Bowie è più insaziabile che mai.

Nel 1994 Bowie e Eno si ritrovano a collaborare in studio di registrazione. Il risultato è il concept album Outside, pubblicato nel 1995 come primo lavoro nell’ambito di un nuovo contratto discografico con Virgin Records. Questo progetto complesso esplora la crescente ossessione per la mutilazione del corpo umano come arte e la paganizzazione della società occidentale. Con testi scritti con la tecnica del cut-up che attingono al diario del personaggio di fantasia Nathan Adler e un inquietante suono di distruzione che accompagna una trama non lineare di arte, omicidio e tecnologia, Outside anticipa una nuova sensibilità noir che pervaderà non soltanto la musica, ma anche il cinema, la letteratura e le arti in generale nel prossimo futuro. Non a caso il primo singolo tratto dall’album, “The Hearts Filthy Lesson”, viene incluso nella colonna sonora di Seven, film di David Fincher tra i più cupi a entrare nel mainstream quell’anno. Due anni dopo, una versione editata della chicca “I’m Deranged” compare in Lost Highway di David Lynch, nei titoli di testa e in quelli di coda.

L’Outside Tour inizia qualche settimana prima della pubblicazione dell’album, cosa che complica ulteriormente il fatto di suonare con i Nine Inch Nails. Oltre a evitare le hit che aveva salutato per sempre cinque anni prima con Sound + Vision, per le prime settimane Bowie e la band eseguono un album che non è ancora uscito. A posteriori il tour è considerato audace e senza precedenti (cosa non insolita per un artista come Bowie), dalla sovrapposizione delle performance dei NIN e di Bowie all’esecuzione di chicche come “Joe The Lion” di Heroes e una versione completamente riarrangiata di “The Man Who Sold The World”. Dopo il tour estivo di Outside in Giappone, Regno Unito ed Europa nel 1996, Bowie porta un’intensità diversa con un paio di straordinarie performance acustiche al Bridge Benefit Concert 1996 a San Francisco. Quella stessa estate il biopic Basquiat, film di Julian Schnabel con Gary Oldman, Christopher Walken e Dennis Hopper, vede Bowie interpretare il personaggio da lui immortalato in “Andy Warhol”, canzone del 1972.

Nel settembre 1996 (il giorno 11, peraltro), un nuovo brano di Bowie, “Telling Lies”, diventa il primo a essere disponibile in download su Internet. Nonostante la scarsa velocità di una rete ancora agli albori, “Telling Lies” è scaricato da oltre 300.000 fan. Nei primi mesi del 1997 viene pubblicato come singolo e successivamente incluso nell’album Earthling, di cui Bowie offre un ulteriore assaggio il 25 ottobre ai VH1 Fashion Awards, dove esegue in anteprima “Little Wonder”, brano di apertura dell'album. “Little Wonder” viene anche suonata insieme a quasi tutti i brani del disco nel gennaio 1997, durante il concerto per il suo 50esimo compleanno al Madison Square Garden di New York. Nel corso della serata, durante la quale propone materiale nuovo, classici e cover, Bowie chiama sul palco special guest e cari amici, tra cui il leggendario e ormai compianto Lou Reed, Frank Black dei Pixies, Dave Grohl dei Foo Fighters, Sonic Youth, Robert Smith dei Cure e Billy Corgan. Complessivamente non è soltanto uno dei concerti migliori della carriera di Bowie, ma anche una delle serate più indimenticabili della storia del Madison Square Garden.

Nel febbraio 1997 esce Earthling, sulla cui copertina campeggia David Bowie in un cappotto con l’Union Jack disegnato da Alexander McQueen, (mal?)posto in modo surreale in un contesto bucolico inglese: la perfetta espressione visiva della dissonante sovrapposizione di classiche melodie alla Bowie e post-apocalittiche tessiture industrial e drum and bass. A Earthling, primo disco di cui Bowie è produttore dai tempi di Diamond Dogs, partecipano i suoi musicisti live Gail Ann Dorsey (basso, voce), Mike Garson (tastiere), Reeves Gabrels (chitarra, sintetizzatori) e Zachary Alford (batteria). Tra i momenti migliori del disco, la potente e riflessiva “Dead Man Walking” e “I’m Afraid Of Americans”, brano dal contagioso humor sardonico scritto insieme a Brian Eno e accompagnato dal video di Dom & Nic che vede Trent Reznor (presente nella versione V1 del singolo) rincorrere David per le strade del Greenwich Village a New York. Segue l’Earthling World Tour, che inizia nel maggio 1997 e prosegue fino all’ottobre-novembre 1997 negli stadi del Sudamerica.

Il 1998 vede il lancio di BowieNet (www.davidbowie.com), il primo Internet service provider creato da un artista, candidato al Wired Award 1999 come Miglior Sito di Intrattenimento dell’Anno.

Nel 1999 David riesce in qualche modo a trovare il tempo di interpretare il ruolo di protagonista nel film Il segreto di Mr. Rice, far parte della prestigiosa cerchia di artisti (tra cui BB King, Dizzy Gillespie e Quincy Jones) cui il Berklee College of Music di Boston conferisce una laurea ad honorem in musica, entrare nel mondo dell’arte con una mostra di grande successo alla Cork Street Gallery di Londra e ricevere la Legion d’honneur, la più alta onorificenza francese. Nello stesso anno, all’annuale cerimonia dei BRIT Awards, David raggiunge sul palco i Placebo per eseguire il classico dei T.Rex “Twentieth Century Boy”. La performance riscuote un tale successo che il Mirror lancia una campagna perché il brano sia pubblicato come singolo. Nel mese di luglio, i lettori del Sun proclamano David la più grande star della musica del 20esimo secolo, e i lettori di Q Magazine lo decretano sesta più grande star del secolo (nel sondaggio di Q David si classifica anche come terza più grande star vivente).

Nell’ottobre 1999 esce Hours..., uno degli album più autobiografici che David abbia mai realizzato. Scritto unicamente con lo storico collaboratore Reeves Gabrels, Hours... evoca l’estetica essenziale e la natura personale del periodo di Hunky Dory, quella breve finestra temporale tra l’emergere della straordinaria voce autoriale di Bowie e la futura creazione di personaggi attraverso i quali verrà filtrata. Per brani dalla forte carica emotiva, come “Thursday’s Child”, “Survive” e “The Pretty Things Are Going To Hell”, Hours... fa leva su un’audace introspezione per esercitare il suo impatto profondamente personale e al contempo estremamente universale. Il tour di Hours... si conclude con un evento spettacolare che vede Bowie chiudere il cerchio con gli inizi della sua carriera. Nel 2000, all’ultima serata del festival di Glastonbury, Bowie si esibisce davanti a circa 150.000 spettatori: un pubblico ben più numeroso di quello che aveva assistito al suo concerto a Glasto nel 1971, che contava qualche migliaio di persone.

2001 e oltre

Il nuovo secolo vede David godersi un periodo lontano dai riflettori, interrotto soltanto da una manciata di rare e prestigiose performance live. Per due anni consecutivi si esibisce ai concerti di beneficenza della Tibet House al Carnegie Hall di New York, insieme a celebrità come Philip Glass, Patti Smith, Moby e il compianto Adam Yauch dei Beastie Boys, per sostenere la causa tibetana. David si produce in una performance ogni anno diversa: nel 2001, con Moby alla chitarra, regala una trascinante versione di “Heroes” e una rara esecuzione di “Silly Boy Blues”, brano di ispirazione buddista, mentre nel 2002 propone “Space Oddity” con un nuovo arrangiamento insieme al Kronos Quartet e Yauch al basso.

Non c’è mai un momento di “quiete” nella vita di David Bowie, e in questo periodo David ha l’onore di essere decretato l’artista più influente di tutti i tempi dal New Musical Express. Poco dopo si verifica un evento ben più importante e che gli cambia la vita: la nascita della prima figlia di David e Iman, Alexandria Zahra Jones. Bowie si prende del tempo per godersi la paternità, ma inizia anche a scrivere una serie di brani che costituiranno la base di un nuovo album.

David si trova a New York l’11 settembre 2001 e sostiene la sua città d’adozione con una breve ma intensa performance al The Concert for New York City al Madison Square Garden. Apre lo show con una scarna rilettura di “America”, classico di Simon e Garfunkel, e prosegue con un’energica esecuzione di “Heroes”. Tutti coloro che partecipano al concerto e i milioni di spettatori che seguono la diretta TV si commuovono per i sentimenti espressi nelle due canzoni.

Sulla scorta di una serata così carica di emozioni, la serie di nuovi brani ai quali David aveva iniziato a lavorare porta alla tanto annunciata reunion con Tony Visconti. La realizzazione del nuovo materiale si traduce in un cambio di atteggiamento nei confronti dell’industria discografica e la creazione da parte di Bowie dell’etichetta Iso Records, che collaborerà con Columbia Records per pubblicare l’attesissimo nuovo album. Ben presto Bowie inizia un giro di ricognizione insieme a Visconti e si innamora così tanto di Allaire, un nuovo studio di registrazione situato nella parte settentrionale dello stato di New York, che non torna a casa finché il disco non è ultimato. Trasferitosi con la famiglia vicino allo studio, sfrutta la sua abitudine di alzarsi presto per dedicarsi con la massima attenzione alla nuova fatica discografica.

Heathen esce nel giugno 2002, anticipato dal singolo “Slow Burn” con il suo vecchio amico Pete Townshend come chitarrista solista, ruolo che Dave Grohl ricopre in “I’ve Been Waiting”, cover di Neil Young. Ospiti a parte, su questo disco Bowie suona più strumenti che mai, tra cui la batteria su un suo loop in “Cactus”, cover dei Pixies, quasi tutti i sintetizzatori e parte dei pianoforti. Quanto al titolo dell’album, “il paganesimo è uno stato d’animo”, spiega Bowie all’epoca. “Mi riferisco a una persona che non vede il proprio mondo. Non ha luce mentale. Lo distrugge quasi senza rendersene conto. Non sente la presenza di Dio nella sua vita. È l’uomo del 21esimo secolo. Non c’è un tema o un concept dietro Heathen, è solo una serie di canzoni, ma in qualche modo c’è un filo conduttore che è forte come quelli dei miei album tematici”. La pubblicazione di Heathen è accompagnata da una serie di concerti in Europa e negli USA, tra i quali spicca la curatela del prestigioso Meltdown Festival inglese, che vede la presenza di artisti molto diversi tra loro: The Legendary Stardust Cowboy, Suede, il comico Harry Hill, Coldplay, Television e Dandy Warhols. Nell’ambito della rassegna, David esegue Low e Heathen per intero.

Un anno dopo, l’album Reality viene lanciato con il più grande evento interattivo in diretta via satellite al mondo. Prodotto ancora una volta da Bowie e Visconti, il disco si apre con una doppietta micidiale: l’obliqua ma incisiva “New Killer Star” e una cover di “Pablo Picasso” dei Modern Lovers. Reality, che non scende a compromessi né a livello musicale che filosofico, mette coraggiosamente in discussione l’esistenza di fondamenti razionali nella società moderna e la stessa natura della conoscenza nel 21esimo secolo. Il disco tocca i tasti giusti e ottiene recensioni positive ovunque, dalla BBC a Pitchfork, e quest’ultimo afferma che Reality “dovrebbe consolidare il suo ruolo costante di artista vivace e moderno negli anni a venire”. La pubblicazione dell’album è seguita dalla tournée mondiale A Reality Tour, che riscuote un enorme successo di pubblico e critica e che a tutt’oggi rimane l’ultimo grande tour di Bowie.

A parte la rara partecipazione a eventi di beneficenza e qualche scatto rubato dai paparazzi, David mantiene un basso profilo e interrompe il silenzio nel 2005 con due straordinarie performance insieme agli Arcade Fire: una al Central Park Summerstage e una a Fashion Rocks, evento di raccolta fondi al Radio City Hall di New York. Nel 2006 si unisce al leggendario Dave Gilmour per prestare la voce ai classici dei Pink Floyd, sia del periodo di Syd Barrett (“Arnold Layne”) che del periodo di Gilmour (“Comfortably Numb”), nel corso di un concerto alla Royal Albert Hall. Il 2006 vede anche il ritorno di Bowie al cinema, con il film campione d’incassi The Prestige, diretto da Chris Nolan.

Nel maggio 2007 Bowie cura il fortunatissimo festival High Line, dieci giorni di arte e musica a New York. A giugno, all’11esima edizione dei Webby Award (gli Oscar di Internet), riceve il premio alla carriera per essersi spinto oltre i confini tra arte e tecnologia. Successivamente, sempre nel 2007, Bowie interpreta se stesso in un acclamato episodio di Extras, la serie HBO di Ricky Gervais.

Nel 2012 gli viene dedicata una targa commemorativa a Heddon Street a Londra (immortalata nella copertina di Ziggy Stardust), per celebrare l’incredibile influenza di Ziggy Stardust and the Spiders from Mars e ovviamente di David stesso. Molti giornalisti e fan, riunitisi per l’occasione, seguono un emozionante discorso di Gary Kemp degli Spandau Ballet, che dice: “Ziggy era la rockstar messianica suprema, e con lui David Bowie è riuscito a sfumare con successo non solo il confine tra ragazzi e ragazze, ma tra se stesso e la sua creatura. Bowie era Ziggy venuto a salvarci, e io gli ho rubato ritornello, eyeliner e taglio di capelli. Da grande fan quale sono, mi sento molto onorato di essere qui”.

Nel 2013 il David Bowie Archive apre le porte al prestigioso Victoria and Albert Museum per una mostra curata esclusivamente da V&A, intitolata “David Bowie is...”. Per la prima volta un museo ha accesso al David Bowie Archive, e la mostra infrange record negli USA, in Germania e in Francia. “David Bowie is...” è attualmente in programmazione in Australia e continuerà a girare il mondo in futuro; la prossima tappa è l’Olanda a fine 2015.

L’8 gennaio 2013, giorno del suo 66esimo compleanno, David Bowie pubblica a sorpresa un nuovo singolo, “Where Are We Now?”, e annuncia l’uscita di un nuovo album intitolato The Next Day. Nonostante l'assenza di promozione tradizionale (David non concede interviste né performance live), il 27esimo studio album di Bowie – nonché il suo primo disco dopo 10 anni di silenzio – conquista il numero 1 delle chart in Inghilterra e in 18 altri paesi, ed entra in classifica al numero 2 negli USA, posizione più alta raggiunta nel corso della sua carriera. Trainato da brani straordinari come “The Stars (Are Out Tonight)”, “Valentine’s Day” e “Love Is Lost”, The Next Day è stato giudicato all’altezza di qualsiasi classico di Bowie: il New York Times l’ha definito “il capolavoro crepuscolare di Bowie”, mentre secondo l’Independent il disco segna “il più grande ritorno nella storia del rock... un disco splendido come tutti gli altri che ha realizzato”. Bowie mantiene il silenzio per tutto il periodo di permanenza in classifica di The Next Day, offrendo solo un paio di interpretazioni visive della sua musica, come il video di “The Stars (Are Out Tonight)” diretto da Floria Sigismondi (che vede David e Tilda Swinton nei panni di due coniugi di periferia) e “The Next Day” (con Gary Oldman nel ruolo di un vescovo debosciato e Marion Cotillard nei panni di... Beh, scopritelo su YouTube...) a sollevare il velo di mistero interno all’album. Il quinto e ultimo singolo, “Love Is Lost”, esce nell’ottobre 2013. Nello stesso mese, durante la cerimonia di assegnazione del Mercury Prize (al quale The Next Day è candidato nella categoria Album dell’anno), viene presentato in anteprima il video del brano, realizzato con un budget di 12,99 dollari (il costo di una chiavetta USB su cui Bowie aveva salvato le immagini girate con la telecamera). Nel novembre 2013 esce l’edizione deluxe The Next Day Extra, contenente il remix di “Love Is Lost” (Hello Steve Reich Mix for the DFA) di James Murphy degli LCD Soundsystem e numerose altre bonus track delle sedute di registrazione di The Next Day, oltre a un DVD con i video di “Where Are We Now?”, “The Stars (Are Out Tonight)”, “The Next Day” e “Valentine’s Day”.

Nel 2014, per celebrare i 50 anni di carriera di David Bowie, viene pubblicata la compilation Nothing Has Changed, un’antologia di hit e rarità che copre l’intera carriera dell’artista. Ancora una volta Bowie sfida le convenzioni: l’edizione deluxe con 3 CD si apre con “Sue (or In A Season Of Crime)”, murder ballad jazz di sette minuti con la partecipazione della Maria Schneider Orchestra. Bowie conclude l’anno del suo cinquantennale rendendo disponibile quasi in sordina la demo track “Tis A Pity She Was A Whore”, brano senza compromessi che indica la possibile direzione delle sue sperimentazioni future.

Nella primavera 2015 viene annunciata una collaborazione tra Bowie e il rinomato drammaturgo Enda Walsh: si tratta di Lazarus, pièce teatrale off Broadway. Diretta da Ivo Van Hove, la produzione si ispira al romanzo L’uomo che cadde sulla Terra di Walter Tevis ed è incentrata sul personaggio di Thomas Newton, già interpretato da Bowie nel famoso adattamento cinematografico del 1976. Lo spettacolo prevede inediti di Bowie, oltre a nuovi arrangiamenti di canzoni tratte dal suo repertorio.

Il 6 ottobre 2015 un estratto di “Blackstar”, nuovo brano di David, accompagna i titoli di testa di The Last Panthers, nuova serie TV drammatica che debutta in Europa su Sky Atlantic il 12 novembre.

Il 25 novembre viene annunciato che “Blackstar” è il titolo del nuovo singolo e del nuovo album di David Bowie; il singolo esce il 20 novembre 2015 e l’album l’8 gennaio 2016, nel giorno del compleanno di David.


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