David Bowie, ★ un ritorno stellare

David Bowie, “?" un ritorno stellare

David Bowie, “?" un ritorno stellare


08 gennaio 2016, ore 13:00 , agg. alle 15:57

Nel giorno del suo 69esimo compleanno la camaleontica superstar britannica si regala un nuovo album che cancella la carta d'identità.

Se c’è una costante nella lunga carriera di David Bowie e nella sua estetica è lo spazio: da Space Oddity a Life On Mars, pianeta di provenienza dei “ragni”, gli Spiders from Mars in accompagnamento alla creatura Ziggy Stardust, e ancora “L’uomo che cadde sulla terra” dell’omonima pellicola del 1976, era quindi quasi naturale un titolo come “★” (letto “Blackstar” ndr) per la sua venticinquesima fatica discografica.

Un ritorno, quello di Bowie, che avviene in modo prepotente proprio oggi, giorno del suo 69esimo compleanno (bel periodo, se si pensa che lo stesso giorno 12 anni prima nasceva un certo Elvis Presley), con un disco difficile che concede spazio solo all’arte, e in fondo un artista come lui è nella posizione di poterselo permettere ancora una volta in più.

L’assaggio già fornito a novembre con la titletrack, una cavalcata di 10 minuti tra space jazz, avanguardia e qualsiasi altra cosa vi venga in mente, lasciava presagire un totale abbandono delle sonorità più amichevoli del precedente “The Next Day” e in perfetta legge dell’elastico così è stato; Il fulvo alieno di un tempo è ripartito verso le infinità cosmiche con il pelo delicatamente ingrigito e carico di immagini inquiete e oscure, come si vede nei video per Blackstar e l’ultimo singolo Lazarus, girati da Johan Renck, regista di serie come Breaking Bad, The Walking Dead e The Last Panthers, che come sigla ha proprio il primo brano dell’album.

Sette canzoni, alcuni inedite, altre già note ma riarrangiate, con la produzione del fedele Tony Visconti, l’ossatura fornita da una band jazz guidata dal sassofonista Donny McCaslin,  in mente il solo pensiero di fare qualcosa di non scontato, e la certezza di riuscirci attingendo a piene mani dalle diversità dell’immenso repertorio di Bowie e proiettandolo nel futuro.
Jazz dicevamo, tanto, ma anche krautrock, drum’n’bass, e i ritmi tribali tanto cari agli Arcade Fire di “Reflektor”, disco sul quale Bowie ha fatto un cameo e dal quale ha preso in prestito il produttore, James Murphy dei redivivi LCD Soundsystem, per suonare le percussioni in due brani. C’è tanto di black in questo disco, inteso sia come musica di colore che come cieli neri e palazzi grigi, suoni e visioni che fanno da richiamo alla fine degli anni ’70 e agli album del suo periodo berlinese e, paradossalmente visto che Ian Curtis era un fan proprio di quei dischi, ai Joy Division di “Unknown Pleasures” (confrontare alcuni suoni di Blackstar e Lazarus ad Insight e Day Of the Lords per credere).

Su tutto questo tappeto sonoro si poggiano la persona e la voce teatrale di Bowie a fare da  amalgama e, come nella bellissima Dollar Days, basterebbe solo questo. La voce di un signore di 69 anni che, alla faccia di tutti i rottamatori, riesce ad essere attuale e moderno come e più di tanti giovani virgulti, permettendosi ancora una volta di dimostrare il proprio valore, pur non avendo davvero nulla da dover ancora dimostrare dopo mezzo secolo di carriera e numerose pagine occupate nei libri di storia della musica.

Visconti ha dichiarato che l’obiettivo finale del disco era quello di “evitare il rock’n’roll” e se stava parlando di stile musicale e volontà di dar poco spazio alle chitarre classiche il colpo è andato a segno, ma se interpretiamo il rock come attitudine, spirito di indipendenza e di libertà, beh, “★” è uno degli album più rock fatti da Bowie da un po’di tempo a questa parte.


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