Dieci anni fa l’omicidio di Yara Gambirasio a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, oggi il ricordo dei genitori

Dieci anni fa l’omicidio di Yara Gambirasio a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, oggi il ricordo dei genitori

Dieci anni fa l’omicidio di Yara Gambirasio a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, oggi il ricordo dei genitori


26 novembre 2020, ore 14:43 , agg. alle 15:24

Le indagini che portarono a identificare Massimo Bossetti come l’autore dell’omicidio durarono 5 anni; la svolta quando fu ritrovato il corpo della ragazzina a Chignolo d’Isola, 3 mesi dopo la scomparsa. Sul cadavere le tracce del Dna del suo assassino che poi fu identificato dopo il lungo e faticoso lavoro degli investigatori, con l’impiego di tecniche mai impiegate in Italia

A 10 anni dalla scomparsa, i genitori di Yara, Fulvio e Maura Gambirasio hanno scelto il Corriere della Sera per ricordare la figlia, scomparsa a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, e uccisa in un campo di Chignolo d'Isola. In collegamento Zoom con il quotidiano, hanno chiesto che la ragazzina, 13enne al momento del delitto, sia ricordata per quello che era e sarebbe stata sempre capace di dare agli altri, per la sua passione, la sua abilità, non per ciò che le è successo. I coniugi Gambirasio, in compagnia dei componenti l’associazione sportiva “La Passione di Yara”, nata in sua memoria, non hanno voluto parlare della vicenda processuale che ha portato in carcere Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per il delitto, ma hanno scelto di raccontare la ragazzina per quella che era la sua vita al momento del delitto .

Indagini senza precedenti in Italia per Yara

La vicenda processuale sulla morte di Yara Gambirasio si concluse solo il 12 ottobre del 2018 quando la Corte di Cassazione confermò la condanna al carcere a vita del muratore di Mapello. La fine di un percorso investigativo che ha visto l’impiego di risorse senza precedenti e frutto dell’impegno degli investigatori di Bergamo che mai si fermarono di fronte alle difficoltà. Yara sparì il 26 novembre del 2010 mentre tornava a casa dal centro sportivo di Brembate di Sopra, dove si allenava per la sua unica passione, la ginnastica ritmica. Della ragazzina si persero totalmente le tracce, non si riuscirono a ricostruire i movimenti, se non per brevissimi minuti quando il suo telefono si agganciò ad alcune celle di Ponte San Pietro e a Mapello. Le telecamere sicurezza della zona non aiutarono gli investigatori. Le ricerche scattarono subito anche con l’impiego di cani molecolari che in un primo momento portarono le forze dell’ordine in un cantiere edile di Mapello. Fu così che le indagini si orientarono verso Mohammed Fikri, un operaio che lavorava nel cantiere e che venne fermato a bordo di una nave diretta a Tangeri. Fu incastrato da un’intercettazione telefonica che però fu interpretata in maniera errata. Fikri riuscì a dimostrare la sua totale estraneità alla vicenda. Ma la svolta nelle indagini arrivò 3 mesi dopo: il 26 febbraio del 2011 venne ritrovato il corpo della ragazzina in una campo di Chignolo d’Isola, a circa 10 chilometri da Brembate. Sul corpo i segni dell’aggressione e, soprattutto alcune tracce di Dna che furono fondamentali per il lavoro degli investigatori negli anni successivi. Furono infatti la base di uno screening di massa che portò in provincia di Bergamo ad acquisire il Dna di migliaia di persone alla ricerca di quello che venne definito “ Ignoto 1”. Lo sviluppo più importante quando le tracce molecolari trovate sul cadavere si abbinarono a quelle di un ragazzo, del tutto estraneo al delitto e frequentatore di una discoteca dove gli venne prelevato il Dna. Il giovane aveva il profilo genetico simile a quello del potenziale assassino. Per gli esperti avevano un genitore in comune, Giuseppe Guerinoni, autista di un autobus di Gorno, morto però nel 1999. Gli inquirenti riuscirono, dopo un’attenta indagine, analizzando le frequentazioni dell’uomo e grazie alla confidenza di un suo collega a proposito di una relazione intrattenuta da Guerinoni, riuscirono a individuare la madre del presunto assassino, Ester Arzuffi, madre di Massimo Bossetti. Il muratore di Mapello, a cui gli investigatori prelevarono il Dna con un finto esame del palloncino durante un controllo stradale, fu identificato come “Ignoto 1”. L’arresto scattò il 16 giugno del 2014, a 4 anni dall’omicidio. Le indagini si chiusero il 26 febbraio del 2015 mentre il processo si aprì il 27 aprile dello stesso anno. La battaglia legale fu lunga anche per l’agguerrita difesa degli avvocati di Bossetti, a colpi di perizie tecniche sulle prove raccolte dalla Procura. Poco più di 14 mesi dopo, la Corte d’Assise di Bergamo condannò Massimo Bossetti all’ergastolo, sentenza confermata in appello l’anno successivo, fino alla decisione definitiva della Corte di Cassazione il 12 ottobre del 2018.


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