Disastro ambientale Ilva di Taranto, maxi condanne per gli ex proprietari Riva. Condannato anche l’ex governatore della Puglia Vendola
31 maggio 2021, ore 14:00 , agg. alle 15:43
Al termine del processo che ha coinvolto 47 imputati, e dopo giorni di camera di consiglio la Corte d'Assise di Taranto ha emesso il verdetto sull’inchiesta Ambiente svenduto, esplosa nel 2012 quando il gip Patrizia Todisco, accogliendo la richiesta della procura, dispose il sequestro dell’area a caldo dell’acciaieria. Per i periti generava nella popolazione "eventi di malattie e morte"
Tutti condannati, gli ex proprietari e amministratori dell’Ilva così come i principali uomini politici imputati del processo Ambiente Svenduto sul presunto disastro ambientale causato dall’acciaieria sotto la gestione dei Riva. La Corte d'Assise di Taranto ha condannato a 22 e 20 anni di reclusione Fabio e Nicola Riva, tra i 47 imputati (44 persone e tre società) rispondono di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Al responsabile delle relazioni istituzionali, Girolamo Archinà, sono stati inflitti 21 anni e 6 mesi, sei mesi in meno all’allora direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso.
LE ALTRE CONDANNE, LA CONFISCA DELL’IMPIANTO, L’ASSOLUZIONE DI FERRANTE
Tre anni e mezzo di reclusione sono stati inflitti all'ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata in concorso. Secondo la tesi degli inquirenti, avrebbe esercitato pressioni sull'allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, per far "ammorbidire" la posizione della stessa Agenzia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall'Ilva. Assennato è stato condannato a 2 anni per favoreggiamento. La replica di Vendola è ferma: "Mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità. È come vivere in un mondo capovolto, dove chi ha operato per il bene di Taranto viene condannato senza l'ombra di una prova. Una mostruosità giuridica avallata da una giuria popolare colpisce noi, quelli che dai Riva non hanno preso mai un soldo, che hanno scoperchiato la fabbrica, che hanno imposto leggi all'avanguardia contro i veleni industriali. Appelleremo questa sentenza, anche perché essa rappresenta l'ennesima prova di una giustizia profondamente malata". L’area a caldo dello stabilimento è stata confiscata, ma la decisione dei giudici di Taranto non ha alcun effetto immediato sulla produzione e sull'attività del siderurgico di Taranto. La confisca degli impianti è stata chiesta dai pm, ma sarà operativa ed efficace solo a valle del giudizio definitivo della Corte di Cassazione, mentre adesso si è solo al primo grado di giudizio. La Corte di Assise del tribunale di Taranto ha invece assolto Bruno Ferrante, ex prefetto di Milano che ha ricoperto per poche settimane l'incarico di presidente del consiglio di amministrazione dell'Ilva nel 2012 poco prima del sequestro dell'area a caldo da parte del gip del Tribunale e dei provvedimenti cautelari nei confronti della famiglia Riva.
IL PRESIDIO DI MAMME, OPERAI E AMBIENTALISTI
Hanno atteso la decisione dei giudici nella speranza che fosse restituita ‘giustizia’ alla città di Taranto ed hanno esultato alla lettura della sentenza. Cittadini e associazioni in sit-in, tra gli altri, ci sono anche rappresentanti del movimento Tamburi Combattenti e delle associazioni che aderiscono al Comitato per la Salute e per l'Ambiente (Peacelink, Comitato Quartiere Tamburi, Donne e Futuro per Taranto Libera, Genitori Tarantini, LiberiAmo Taranto e Lovely Taranto). Sono circa mille le parti civili. Tra queste c'è il consigliere comunale Vincenzo Fornaro, ex allevatore che subì l'abbattimento di circa 600 ovini contaminati dalla diossina.