Festa del cinema di Roma 2022, I morti rimangono con la bocca aperta, un film che si perde nel nulla delle peregrinazioni dei personaggi
19 ottobre 2022, ore 20:00
Presentato oggi in concorso all’Auditorium Parco della musica di Roma, il nuovo film di Fabrizio Ferraro è il secondo titolo italiano della competizione
Nel giorno di Spielberg e della Masterclass del regista italiano Mario Martone, prosegue la visione dei film in concorso alla 17esima edizione della Festa del cinema di Roma. Oggi è stata la volta della seconda pellicola italiana della competizione, I morti rimangono con la bocca aperta, opera diretta da Fabrizio Ferraro che vanta alle spalle una formazione in scienze del cinema e filosofia del linguaggio. Sebbene sulla carta avesse tutte le carte in regola per essere una pellicola coraggiosa e potenzialmente di impatto, il tutto si perde proprio tra le ambizioni di una trama ridotta all’osso e dove non c’è spazio per le emozioni.
LA TRAMA DE FILM
Andiamo per gradi raccontando quello che è il soggetto del film di Ferraro.
Siamo nel 1944, nel bel mezzo del secondo conflitto mondiale. Il bianco e nero domina le immagini dall’inizio alla fine. Quattro partigiani fuggono in mezzo alla neve sull’Appennino dell’Italia centrale. Campi lunghi e lunghissimi dove si riprende con inesorabile lentezza la difficile quotidianità dei fuggiaschi, che si riparano e scappano dal nemico perennemente in agguato. Nel loro estenuante cammino incappano in una donna misteriosa che li guiderà tra i boschi innevati. È una spia? O solo un’anima spaventata?
TUTTO FUMO E NIENTE ARROSTO
Come si diceva in precedenza, le premesse di fondo erano buone e anche il lavoro estetico messo in scena da Ferraro risulta particolarmente riuscito, confezionando delle immagini sublimi che sembrano dipinte con il carboncino. Il bianco e nero è usato divinamente e crea un alone di poesia ed eleganza alle inquadrature del film. Persino il titolo, I morti rimangono con la bocca aperta, è molto incisivo e, anche grazie alla sua componente enigmatica, lasciava presagire una storia urgente che spronasse lo spettatore a riflettere. Ma bisogna essere onesti, la riuscita finale lascia molto a desiderare. Il film è un estenuante ed inesorabile vagabondare dei personaggi che risultano schiacciati da un estetica molto ricercata ma che non è supportata da una trama altrettanto potente. Comprendo la volontà dell’autore di creare un testo completamente destrutturato, dove si vuole rappresentare la vita dei partigiani così com’è, senza trama né azione. Ma ciò che emerge è un'opera troppo pretenziosa con cui si fa fatica ad entrare in sintonia e dove prevalgono gli sbadigli e la noia. Il racconto delle pause, delle attese e dei tempi morti è qualcosa che, se manca di tecnica e abilità, risulta molto difficile da sopportare per lo spettatore. Il problema qui è che non c’è trepidazione, non c’è preoccupazione, non c’è paura, non c’è nulla a cui ci si possa aggrappare. C’è solo l’impronta di un autore che si è spinto troppo in là senza gli strumenti adatti per farlo.
Peccato, perché le premesse c’erano tutte.