Gaza, terzo giorno di tregua: una distesa di macerie
21 gennaio 2025, ore 11:30
Una terra irriconoscibile. Una discarica a cielo aperto. 15 mesi di bombardamenti hanno polverizzato 363 chilometri quadrati di territorio. Incognita su chi si occuperà della ricostruzione e chi la finanzierà.
La Striscia di Gaza è un cumulo immenso di macerie, una discarica a cielo aperto di un cantiere edile; un livello di distruzione inimmaginabile prima di vedere con i propri occhi da remoto o di persona. E ora che le immagini affollano gli schermi di telegiornali e social, la reale situazione del territorio diventa più tangibile e più drammatica. Non solo per chi osserva da lontano, ma soprattutto per chi vive sulla propria pelle il disastro. Polvere e macerie ovunque, è difficile immaginare che prima quelle montagne di detriti siano stati palazzi, abitazioni, scuole o moschee. Il cemento accumulato in colline sui bordi di strade sterrate e polverose non sono che un lontano rimando a ciò che fu e di cui non vi è più traccia.
LA DISTRUZIONE
Le cronache raccontano di milioni di sfollati che rientrano in quei luoghi irriconoscibili e che hanno difficoltà ad orientarsi e a capire dove sia la via delle proprie abitazioni. Mancano totalmente i punti di riferimento, difficile immedesimarsi se non con un grande sforzo di immaginazione. Tra edifici sbriciolati, pilastri monchi, carcasse di auto è facile perdersi. In 15 mesi di guerra 363 quadrati di territorio sono stati letteralmente polverizzati. Ci vorranno almeno 21 anni per rimuovere 50 milioni di tonnellate di macerie, ha calcolato l’Onu. Secondo il report dell’Organizzazione il 69% degli edifici è stato distrutto, per il 92% sono le abitazioni dei gazawi che sono andate distrutte. Poi l’88% delle scuole e il 68% delle strade non esistono più. Per scovare i miliziani di Hamas l’esercito israeliano non ha risparmiato nulla, i termini di costruzioni e di vite umane, l’ultimo conteggio delle vittime del ministero della sanità della Striscia aggiornava il numero ad oltre 47 mila e ha paventato la possibilità che sotto i detriti potrebbero esserci altri 10 mila cadaveri non compresi nel conteggio.
GLI AIUTI
‘Gaza risorgerà’ recita un comunicato ufficiale di Hamas, pubblicato dopo il cessate il fuoco, ma con quali mezzi? Chi pagherà? Tutto è ancora da definire. Gli aiuti stanno cominciando ad entrare nella Striscia e a farsi sentire. 634 camion il primo giorno e 324 ieri, attraverso quei valichi che sono stati interdetti al passaggio per 15 mesi dalle forze di Israele. Testimoni parlano di lunghe code di truck ai check point, ancora sotto il controllo di Tel Aviv. I soldati israeliani bloccano i carichi che reputano potenzialmente pericolosi o utilizzabili dalle milizie palestinesi. Comunque, manca energia elettrica e le centrali non verranno ripristinate prima di 5 mesi, rendendo tutto enormemente più complicato.
ISRAELE CHIAMA AMERICA
L’elezione del nuovo presidente americano, Donald Trump, è salutata con favore dai dirigenti palestinesi. L'alto funzionario di Hamas, Mousa Abu Marzouk, al New York Times ha espresso la sua approvazione e fiducia nella prossima amministrazione statunitense: "E' serio", ha detto riferendosi al tycoon. "Se non fosse stato per il presidente Trump, per la sua insistenza nel porre fine alla guerra e per l'invio di un rappresentante decisivo, l'accordo non si sarebbe mai concretizzato", ha aggiunto il funzionario. Dall’insediamento di Trump, Israele potrebbe trarre diversi vantaggi. L’accettazione del cessate il fuoco a Gaza da parte di Netanyahu può essere vista come l’apertura della porta alcune questioni. La principale è interna: riguarda le alleanze politiche del suo governo con l’ala oltranzista che maggiormente è interessata alla questione dei territori occupati in Cisgiordania. E a tal proposito è di queste ore la notizia secondo cui Trump ha revocato le sanzioni sui coloni, di fatto aprendo alla possibilità di nuove conquiste in Cisgiordania.