Gli ottant'anni di Bob Dylan, il profeta rock che fece litigare Wojtyla e Ratzinger e si assentò dalla cerimonia per il Nobel

Gli ottant'anni di Bob Dylan, il profeta rock che fece litigare Wojtyla e Ratzinger e si assentò dalla cerimonia per il Nobel

Gli ottant'anni di Bob Dylan, il profeta rock che fece litigare Wojtyla e Ratzinger e si assentò dalla cerimonia per il Nobel


Un genio inafferrabile, capace di mutare pelle mille volte. Ricevendo un premio sostenne di comprendere Oswald, l’assassino di John Kennedy. Mentre i complottisti frugavano nella sua immondizia per scoprire se si fosse venduto al “Sistema”

Intascò mezzo milione di lire e cantò a Bologna per il Papa. Era lui, Dylan, la star assoluta del Congresso Eucaristico, anche se quel 27 settembre ‘97 ad ascoltarlo c’era Giovanni Paolo II. Trenta minuti di concerto: e prima dell’ultima strofa dell’inno pacifista di “A Hard Rain’s Gonna Fall” il cantautore (rischiando di inciampare) andò a stringere la mano al Santo Padre. Che dopo aver congedato l’artista, diede “la” risposta spirituale agli enigmi nella domanda di “Blowin’ in the wind”. “Io sono la via, la verità e la vita”, spiegò Giovanni Paolo II evocando Cristo. Mettendo quasi sotto scacco l’ebreo errante che aveva già vissuto le sue fasi di dubbio religioso, prima di abbracciare a sorpresa il cattolicesimo e poi tornare elusivo sul tema delle proprie convinzioni religiose. Dylan era abituato a non farsi mettere all’angolo dalle autorità spirituali come da quelle temporali, schivando pure l’abbraccio soffocante dei fans. E in quella occasione bolognese, Bob riuscì a mettere in contrasto due colossi della Fede come il Pontefice (che ne aveva approvato la partecipazione all’evento) e il cardinale Ratzinger, che in seguito avrebbe sottolineato in un libro la personale perplessità di fronte al coinvolgimento di simili “profeti” laici. Dylan, sornione, commentò che suonare per Wojtyla era stato come “knockin’ on heaven’s door”, bussare alle porte del cielo.


Il vento e la Parola

Il Dylan di “Blowin’ in the wind”, il giovane menestrello catapultato sulla scena folk del Greenwich Village dal Minnesota, inseguendo le tracce di Woody Guthrie, aveva già capito che una chitarra e dei versi possono spaccare in due la Storia, soprattutto in un decennio catartico come i Sessanta. La risposta soffia nel vento? Che immagine era? “Di alcuni giornali che rotolavano portati dalla brezza su un marciapiede di New York”, rivelò una volta, e chissà se diceva la verità. Gli avevano chiesto subito, tutti i seguaci, una strategia per superare gli orrori della guerra, del razzismo, del potere capitalista. Era un ragazzo con un peso insostenibile sulle spalle. Lo ascoltarono cantare alla marcia dei diritti umani di Washington al fianco di Martin Luther King, ma anche, dopo l’assassinio di John Kennedy, manifestare comprensione per la sorte di Lee Oswald, il killer del presidente. Bob era ubriaco, e quel discorso insolente mentre riceveva un premio quasi gli stroncò la carriera. Fece infuriare i puristi del folk quando al Festival di Newport imbracciò la chitarra elettrica per trasformarsi in una formidabile rockstar. Cercò di nascondersi dietro la sua vita privata, mutò pelle, flirtando con il country, dopo un misterioso incidente in moto dalle parti di Woodstock. All’alba dei paranoici anni Settanta si ritrovava assediato da psicopatici “dylanologi” che tentavano di dimostrare come si fosse venduto al “Sistema” frugandogli nell’immondizia, tra le bucce di mela e i pannolini del figlioletto.


La solitudine del Poeta

Dylan, che oggi compie 80 anni, è riuscito a sopravvivere alle pretese degli ammiratori e alle accuse dei detrattori restando sempre in vista, ma rivelandosi inafferrabile. Si estenua da tempo immemore in un “Neverending tour” in cui rivisita (e a volte strapazza) i suoi classici, fregandosene del diktat del pubblico, e ha venduto per più di 300 milioni di dollari i diritti sul repertorio, in barba a chi rivendica la “sacralità” di quelle canzoni. È riuscito a collocare se stesso in un Altrove dove dialoga con altri poeti e geni della letteratura: ma quelli come Omero o Shakespeare, che ha citato nella “lezione” di accettazione del Nobel 2016, quando fece impazzire l’Accademia che lo cercava per conferirgli il riconoscimento. Bob ringraziò, ma alla cerimonia di Stoccolma, davanti ai reali di Svezia, mandò al suo posto Patti Smith, che si emozionò cantando. È impossibile vestire i panni di Dylan (che in tempi recenti ha spiazzato di nuovo, mascherandosi da crooner sinatriano) se non sei lui. Citando Walt Whitman nel suo ultimo album, il Profeta laico ha dichiarato di “contenere moltitudini”, dentro di sé.



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