15 agosto 2024, ore 12:38
Secondo il Dipartimento di Giustizia americano il motore di ricerca più famoso del mondo dovrà "spezzettare" rami di azienda per rispettare le regole sulla concorrenza
… E poi succede che ciò che si era dato per normale e scontato da quando se ne ha memoria, si trasforma in un incantesimo (oggi lo chiameremmo algoritmo) con dietro il trucco.
GOOGLARE
Su molti giornali economici e non solo si parla di Google. Molti di noi, sono certa, pensano che fare una ricerca su Internet sia possibile solo attraverso un unico motore di ricerca. È talmente vero, che è stato coniato il neologismo Googlare che tradotto significa cercare qualcosa su Internet. Questa è la dimensione mentale e non solo di un monopolio che, secondo il Dipartimento di Giustizia americano, si configura come tale in quanto la scelta non è frutto di un’operazione consapevole degli utenti, bensì di pratiche di concorrenza scorretta.
IL MONOPOLIO
Ma partiamo dall’inizio. Il giudice federale americano Amit P. Mehta (strana coincidenza, un’H di differenza lo separa dalla creatura di Zuckerberg, che gravita nello stesso spazio geografico ed economico della Big G) un giorno si sarà probabilmente soffermato a ragionare sulle motivazioni per le quali il suo smartphone ogniqualvolta avesse bisogno di trovare velocemente una risposta sul web, gli proponesse sempre lo stesso motore di ricerca. Galeotta fu questa considerazione. Il 5 agosto è arrivato a sentenza: Google infrange le regole della libera concorrenza e viene dichiarata “monopolista“ delle ricerche attraverso il suo motore. Poi, si potrebbe opporre la considerazione che effettivamente Google sia lo strumento più efficace, veloce e completo per le ricerche in Internet. È un po’ il concetto che ha espresso Eddy Cue vicepresidente di Apple, quando è stato chiamato a rispondere in merito all’accordo che vede Big G come opzione predefinita di Safari (browser della mela):“non c’è nessuna alternativa valida” e ha aggiunto che non c’è nessun prezzo che Microsoft possa pagare… Ovviamente, proprio quest’ultima frase porta al cuore della vicenda. Pagare. Il gigante di Mountain View paga alcune aziende per essere la scelta predefinita dei propri browser, oppure trova accordi per diventarlo con sistemi operativi della portata di Android (utilizzato dal 70% degli smartphone nel mondo), o browser come Chrome (utilizzato dal 65% degli utenti del web). Secondo il giudice Mehta questo monopolio è in grado di generare 175 miliardi di dollari di ricavi in un anno.
LE PROPOSTE
Sul tavolo sono state messe alcune proposte che verranno dibattute a settembre per risolvere la questione. Quella del Dipartimento di giustizia si propone di fare uno “spezzatino” di Google, cioè di asportare dalla pancia del motore di ricerca Chrome ed Android, così da interrompere il monopolio. Un’altra opzione è quella di prevedere l’obbligo di condividere i dati raccolti con altre società rivali. In ultima istanza verrebbe richiesto a Google di interrompere tutti quei contratti con i produttori di smartphone. Il gigante della Silicon Valley non ci sta e fa sapere che presenterà ricorso.