Il calcio ora vuole ripartire, ma i ministri Spadafora e Speranza frenano, domani riunione decisiva
21 aprile 2020, ore 13:00
Lo stop avrebbe un impatto economico devastante, che non colpirebbe solo i giocatori ma decine di migliaia di lavoratori
Domani la Federcalcio presenterà ai ministri dello Sport Vincenzo Spadafora e della Salute Roberto Speranza il dossier con le misure studiate per garantire la ripresa degli allenamenti, senza compromettere la sicurezza e la salute di calciatori e allenatori. Si tratta di un protocollo molto rigido, che prevede tra l’altro che le squadre restino in isolamento per tre settimane senza venire a contatto con l’esterno; i calciatori, almeno in una prima fase, lavoreranno solo sulla parte atletica mantenendo le distanze, in ritiro dormiranno in camere singole. Il crono programma prevede la ripresa degli allenamenti il 4 maggio, poi entro un mese si spera di poter ricominciare a disputare partite. Ovviamente con gli stadi a porte chiuse, senza assembramenti di pubblico sulle tribune.
C’è chi dice no
La speranza diffusasi negli ultimi giorni è stata raffreddata dalle ultime dichiarazioni del ministro Spadafora: “Non do per certa né la ripresa del campionato, né quella degli allenamenti il 4 maggio, se prima non esistono le condizioni. Lo sport non è solo il calcio, e il calcio non è solo la Serie A”. A rincarare la dose il titolare del dicastero della salute Speranza: “Con quattrocento morti al giorno, l’ultimo problema è il campionato di calcio”. Le dichiarazioni dei due ministri sono calate come una mannaia sul clima di moderato ottimismo che stava serpeggiando nell’ambiente. E c’è chi sente odore di populismo e demagogia. Ma frenare il calcio non significa soltanto ostacolare i guadagni dei giocatori milionari. Ci sono anche tanti lavoratori normali, che ora vedono a rischio il loro futuro.
Il mondo del pallone vuole ripartire
All’interno della Lega Serie A sta crescendo il “partito del ricominciamo”; scrivono le società: “E’ nostra intenzione portare a termine la stagione, naturalmente nel pieno rispetto delle norme che tutelano la salute”. C’è ancora chi frena, ma sembra animato per lo più da interessi di classifica o da paura di retrocedere. L’intenzione di ripartire ora arriva anche dal sindacato dei calciatori, che nel pieno dell’emergenza Covid-19 si era invece fortemente opposto alla prosecuzione dell’attività. Dice Damiano Tommasi, presidente dell’Assocalciatori: “La volontà è tornare al più presto in campo con le più ampie garanzie di sicurezza per tutti gli addetti ai lavori; vogliamo poter tornare a svolgere il nostro lavoro, così come tante altre categorie professionali, senza apparire privilegiati e senza percorrere corsie preferenziali sui controlli medico sanitari”.
In gioco soldi e posti di lavoro
Premesso ancora una volta che la priorità deve essere la salvaguardia della salute, bisogna però considerare che la situazione è migliorata rispetto a un mese fa. Senza abbassare la guardia, il paese si sta preparando alla Fase Due, quella della graduale ripartenza. Perché ora l’emergenza economica rischia di diventare prevalente rispetto a quella sanitaria. Il grido d’allarme lo ha lanciato il presidente federale Gabriele Gravina: “ Sono in ballo cinque miliardi di euro, l’impatto negativo di uno stop definitivo sarebbe una catastrofe”. In effetti il calcio professionistico di serie A muove tanti soldi e garantisce lavoro a una marea di persone. Come ricorda opportunamente il direttore Xavier Jacobelli su Tuttosport “l’Azienda Calcio costituisce l’1% del Prodotto Interno Lordo, ogni anno versa allo Stato un miliardo e duecentocinquanta milioni di tasse e contributi; genera un indotto di 8 miliardi di euro e dà lavoro a trecentomila persone, poiché i livelli occupazionali garantiti non sono solo quelli dei professionisti strapagati, nella sola Torino tra dipendenti e collaboratori la Juventus dà lavoro a 827 persone”. Numeri che non possono essere ignorati