Ci sono alcuni nomi di registi, attori o produttori, che appena vengono pronunciati si pensa immediatamente al cinema, li associamo subito alle scene dei film che hanno realizzato, che affiorano nella mente come un proiettore impazzito. Ecco, a parte il mondo dei cinefili e degli studiosi, lo stesso non si può dire per Peter Bogdanovich, regista statunitense scomparso ieri, 6 gennaio, all’età di ottantadue anni, un vero e proprio artigiano raffinato della settima arte che si è formato nel periodo d’oro della New Hollywood e che ha pagato il prezzo di non essere mai troppo conosciuto al grande pubblico. Purtroppo, aggiungiamo noi, perché nella sua filmografia spiccano titoli veramente eccezionali che non hanno nulla da invidiare a film di altri registi molto più conosciuti. Si pensi, per esempio, alla pellicola “L’ultimo spettacolo” (1971), struggente lettera d’amore nei confronti del cinema, oppure “Dietro la maschera” del 1985.
L’AMORE PER IL CINEMA
Ma Bogdanovich prima ancora di essere un regista è stato un cinefilo sopraffino. Si innamorò perdutamente del cinema dopo la visione di Quarto Potere di Orson Welles che lo portò a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica. Fu un grande sostenitore del filone francese della Nouvelle Vague che contribuì a far conoscere in terra statunitense. Amava talmente tanto la settima arte al punto di maturare la filosofia che, arrivati alla soglia degli anni 70, tutti i grandi film fossero già stati realizzati e ai contemporanei non restava altro che proporre una poetica della nostalgia, andando a citare i grandi classici degli anni quaranta e cinquanta. Un amore viscerale e potente che Bogdanovich ha sempre tradotto nel suo cinema e nei suoi film.
Il passaggio da critico a regista avviene grazie al folgorante incontro con Roger Corman, un punto di riferimento per molti autori americani del periodo che grazie a lui sono riusciti ad imparare le regole fondamentali per raccontare storie attraverso la macchina da presa.
L’ULTIMO SPETTACOLO
Forse uno dei film più belli mai realizzati da Bogdanovich è proprio L’ultimo spettacolo, pellicola del 1971 che si inserisce nel filone della New Hollywood, stagione cinematografica dentro la quale il regista si è formato. Un inno di accorato amore verso la settima arte e nei confronti di una generazione che lentamente stava tramontando, in una narrazione che nelle pieghe racchiude l’essenza stessa del cinema americano. La trama è ambientata in un piccola città del Texas, dove non succede mai nulla di eclatante e le giornate si susseguono senza colpi di scena. L'unico cinema aperto proietta l'ultimo film prima della chiusura definitiva: l'evento segna la fine della giovinezza per un gruppo di amici, destinati a partire come soldati per la guerra in Corea o più correttamente in Vietnam, per rimanere ancorati al periodo storico della storia.
IL CORDOGLIO DEI COLLEGHI
Tra i colleghi e amici di Bogdanovich che si sono espressi in queste ore sulla sua scomparsa figurano Francis Ford Coppola che si è detto "devastato" e Guillermo del Toro che ha commentato la notizia parlando del regista come "Un grande amico e un campione del cinema con la 'C' maiuscola".