“Io?” di Peter Flamm è l’irrisolvibile enigma di una mente sfaldata dalla guerra

“Io?” di Peter Flamm è l’irrisolvibile enigma di una mente sfaldata dalla guerra

“Io?” di Peter Flamm è l’irrisolvibile enigma di una mente sfaldata dalla guerra Photo Credit: agenziafotogramma.it


Un capolavoro del primo ‘900 europeo, pubblicato da Adelphi nella prima traduzione mondiale

"Io?": un gioiello che viene da lontano

E’ un grande romanzo europeo quello di Peter Flamm, e rischiavamo di non accorgercene. Comparso per la prima volta nel 1926, “Io?” è l’esordio narrativo dello psichiatra e scrittore Erich Mosse – in arte Peter Flamm -, che durante gli anni Venti pubblica racconti e romanzi apprezzati da autori come Stephen Zweig e i fratelli Heinrich e Thomas Mann. Nonostante lo scalpore che suscitò in Germania al tempo, “Io?” ha finito per perdersi tra le pieghe del tempo, salvo essere felicemente riesumato a quasi 100 anni dalla sua pubblicazione per prendersi di diritto un posto tra i grandi libri sulle atrocità della guerra e le sue più oscure conseguenze.

“Non io, signori giudici, un morto parla per bocca mia. Non sono io qui, non è mio questo braccio che si alza, non sono miei questi capelli ora bianchi, non è mio il crimine”: un incipit negativo, torbido, per un racconto senza vie di uscita. Spieghiamoci meglio: siamo nella Berlino del 1918. Il narratore, chiamato a difendersi dall’accusa di omicidio, è un reduce della prima guerra mondiale. Chi è davvero? E’ Hans Stern, rispettabile chirurgo berlinese, padre e marito, o Wilhelm Bettuch, proletario che ne ha assunto le sembianze? Quale ricordo, quale racconto è vero? Hans Stern confonde la sua vita con quelle dei compagni caduti, le cui storie ha ascoltato in trincea e ha impastato assieme alla propria, nelle tenebre dello shock post traumatico? O è invece Wilhelm Bettuch il sopravvissuto, un umile fornaio che ha rubato il passaporto, e così l’identità, del medico borghese? Eppure tutti sembrano riconoscerlo in quella città che lui afferma di non aver mai visitato. Il morto che cammina è per tutti riassorbito nella trama della realtà, ma è davvero così?

Il romanzo di Mosse, tradotto da Margherita Belardetti, è un febbrile resoconto della difficoltà di una mente spezzata, dell’impossibilità di ricostruire un’identità solida: fino all’ultima pagina non si potrà scegliere a quale verità credere, in balìa di un narratore che dice e contraddice, braccato dalla necessità di individuazione, schiacciato nel conflitto tra legge – chi sei determina la tua innocenza o colpevolezza e vita – e vita, asfissiante dicotomia di kafkiana memoria. “Io?” è un romanzo infestato dall’Altro, dal doppio, un romanzo impossibile perché senza soluzione e senza verità – Hans è e non è Wilhelm, è vivo e morto, parla onestamente eppure mente. Non ultimo, è una bruciante denuncia degli orrori della guerra. La trincea è esperienza di radicale solitudine e radicale unione: la vita di uno può essere la morte dell’altro, ma ogni morte è la mia morte, ogni vita è la mia vita. Questo è il paradosso dell’Io messo in dubbio, scisso e moltiplicato che Peter Flamm sublima magistralmente su carta.


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