Iran: donne protestano in strada senza velo, dopo la morte in carcere di Mahsa Amini, polizia spara su folla

Iran:  donne protestano in strada senza velo, dopo la morte in carcere di Mahsa Amini, polizia spara su folla

Iran: donne protestano in strada senza velo, dopo la morte in carcere di Mahsa Amini, polizia spara su folla


Secondo il bilancio delle autorità le vittime degli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza, sono 9, ma si teme invece che il numero sia molto più alto; molte donne hanno tolto il velo o lo hanno bruciato durante le proteste

Si aggrava il bilancio delle vittime degli scontri tra i manifestanti scesi in piazza per protestare contro la morte di Mahsa Amini e gli agenti della polizia iraniana impegnati a reprimere la protesta. Secondo un bilancio ufficiale, i morti sono almeno nove, tra cui un ragazzo di 16 anni, ma per i manifestanti il numero reale delle vittime è più alto. Dai filmati che circolano sui social media, si vedono agenti della polizia iraniana sparare contro i manifestanti. Sono proprio le ferite d'arma da fuoco che sono risultate letali per il 16enne, come spiega la Bbc. "Donne, vita, libertà" e "Abbasso il dittatore" sono alcuni degli slogan infuocati che riecheggiano in diverse città dell'Iran, in un grido unanime di protesta per la morte di Mahsa Amini dopo tre giorni di coma per i maltrattamenti subiti dalla polizia morale che l'aveva arrestata perché non indossava correttamente il velo.

Proteste in tutto il Paese

L'Iran è in fiamme. Strade, università,  bazar, perfino le stazioni della metropolitana sono da giorni i nuovi luoghi simbolo delle manifestazioni che si moltiplicano e si diffondono a macchia d'olio in tutto il Paese.  Manifestazioni di protesta si tengono in particolare a Teheran e in una ventina di altre città iraniane, comprese quelle nel Kurdistan e in particolare a Saqez dove Amini era nata 22 anni fa. Qui le donne sono scese in piazza a capo scoperto, sventolando il velo islamico o bruciandolo. "No al velo, no al turbante, sì alla libertà e all'uguaglianza!", hanno intonato i manifestanti a Teheran. Cortei dove non sono mancati anche i gesti estremi e dimostrativi delle donne: molte si sono tolte l'hijab e lo hanno bruciato per protestare contro la legge sul velo. Altre hanno tagliato i capelli postando i video sui social.

Social censurati

 E proprio mentre la protesta sale di intensità e si diffonde, le autorità hanno deciso di limitare l'accesso a Instagram e WhatsApp, così come emerge dal monitoraggio del sito NetBlocks  che sottolinea che si tratta della maggiore restrizione ai social media a livello nazionale operata in Iran  dal 2019, quando l'accesso a Internet era stato limitato nel mezzo delle proteste per il carburante. NetBlocks ha segnalato un'interruzione quasi totale del servizio Internet in alcune zone della provincia del Kurdistan nell'Iran occidentale, dove era nata Amini, e nella capitale Teheran, dove la giovane è stata arrestata.


Condanna internazionale e sostegno alle donne iraniane

Duro il monito del Presidente degli Stati Uniti,  Joe Biden che dal palco dell'assemblea Onu ha affermato che gli Usa sono "al fianco delle coraggiose donne iraniane".  Ma nel suo discorso pronunciato sempre al Palazzo di vetro, il Presidente iraniano Ebrahim Raisi ha accusato l'Occidente di avere "doppi standard" sui diritti, in particolare quelli delle donne. "L'Iran rigetta il doppio standard di alcuni governi - ha aggiunto - i diritti umani appartengono a tutti ma purtroppo ci sono casi dimenticati come le tribù di nativi in Canada, i diritti dei palestinesi, i migranti che cercano libertà ma i loro bambini finiscono nelle gabbie, gli afroamericani uccisi" "

Appello di Amnesty International

E dinanzi alla platea dei leader mondiali riuniti al Palazzo di vetro, Amnesty International ha chiesto che l'Assemblea generale delle Nazioni Unite sostenga "le richieste per l'istituzione di un meccanismo investigativo e di responsabilità internazionale indipendente per affrontare la crisi di impunità prevalente in Iran": il riferimento è proprio alla dura repressione delle proteste seguita alla morte  di  Mahsa Amini. Amnesty International, che cita tra le vittime delle milizie iraniane,  anche un bambino, afferma di avere raccolto prove sull'uso illegale da parte delle forze di sicurezza di pallini e altri proiettili metallici, gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e di percosse con manganelli per disperdere i manifestanti.


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