Italia in coda nella classifica climatica sulle emissioni; lo dice il report presentato alla Cop29
20 novembre 2024, ore 10:30
Tra i principali Paesi del pianeta, l'Italia è in 43esima posizione su 63 Stati partecipanti. Nel 2023 il Belpaese aveva perso 15 posizioni.
Italia al 43esimo posto per performance climatica; confermata la brutta prestazione dell’anno scorso, quando aveva perso 15 posizioni rispetto alla classifica generale stilata annualmente di Germanwatch, Can e NewClimate Institute in collaborazione con Legambiente.
IL REPORT
Oggi a Baku, nell’ambito della Cop29 è stata presentato il rapporto annuale di Germanwatch sulle emissioni dei principali Paesi del pianeta. Partecipano 63 Stati, più l’Unione Europea nel suo complesso, che insieme rappresentano il 90%delle emissioni globali. La performance è misurata attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI), prendendo come parametro di riferimento gli obiettivi degli Accordi di Parigi e gli impegni assunti nel 2030. I parametri sono: trend delle emissioni; sviluppo delle rinnovabili; efficienza energetica e politica climatica.
LA PERFORMANCE DELL'ITALIA
Il nostro paese era già crollato in classifica lo scorso anno, scendendo al 44esimo posto e perdendo 15 posizioni. Quest'anno pesa il rallentamento della riduzione delle emissioni climalteranti (38esimo posto della specifica classifica) e una politica climatica nazionale (55esimo posto) giudicata "fortemente inadeguata" a fronteggiare l'emergenza climatica.
LE POSIZIONI ALTE
Le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite, in quanto nessuno dei Paesi ha raggiunto la performance necessaria per contribuire a fronteggiare l'emergenza climatica e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C. Ancora molti Paesi prolungano l'uso dei combustibili fossili, soprattutto del gas. Si conferma in testa alla classifica con il quarto posto la Danimarca, grazie soprattutto alla significativa riduzione delle emissioni climalteranti ed allo sviluppo delle rinnovabili. Seguono l'Olanda (5°) ed il Regno Unito (6°) che fanno significativi passi in avanti. Soprattutto il Regno Unito (20° lo scorso anno), grazie ad una più ambiziosa politica climatica ed energetica del nuovo governo. Anche quest'anno, in coda alla classifica troviamo Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Iran. La Cina, maggiore responsabile delle emissioni globali, scende di quattro posizioni rispetto allo scorso anno scivolando al 55° posto. Nonostante il grande sviluppo delle rinnovabili, le emissioni cinesi crescono ancora per il continuo ricorso al carbone. Invece gli Stati Uniti, secondo emettitore globale, rimangono stabili al 57°posto.
LE PERFORMANCE DEL G20
Solo due membri del G20, Regno Unito (6°) ed India (10°) sono nella parte alta della classifica. La maggior parte dei Paesi del G20 (responsabile del 75% delle emissioni globali), invece, si posiziona nella parte bassa. Mentre Sud Corea (63°), Russia (64°) ed Arabia Saudita (66°) sono i Paesi del G20 con la peggiore performance climatica. L'Unione europea (17°) rimane stabile a centro-classifica, con 16 Paesi nella parte medio-alta (Danimarca, Olanda, Svezia, Lussemburgo, Estonia, Portogallo, Germania, Lituania, Spagna, Grecia, Austria, Francia, Irlanda, Slovenia, Romania e Malta). Performance condizionata anche dalla Germania, maggiore economia europea, che scende di due posizioni (16°) per l'inazione politica nei settori del trasporto e degli edifici, nonostante i considerevoli progressi nelle rinnovabili.
LEGAMBIENTE
''Per accelerare la transizione energetica e fronteggiare con successo l'emergenza climatica - commenta Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente - non è sufficiente un'azione climatica ambiziosa dei Paesi industrializzati ed emergenti. Servono politiche climatiche altrettanto ambiziose nei Paesi in via di sviluppo. Cruciale, pertanto, è il ruolo che la finanza climatica è chiamata a giocare alla Cop29 in corso a Baku. È indispensabile un accordo ambizioso in grado di mobilitare nei prossimi anni, come richiesto dall'Alleanza dei piccoli Stati insulari (Aosis), almeno 1.000 miliardi di dollari l'anno di aiuti pubblici. Non solo per la decarbonizzazione dell'economia e l'adattamento ai cambiamenti climatici, ma anche per la ricostruzione economica e sociale delle comunità povere e vulnerabili messe in ginocchio dai disastri climatici sempre più frequenti e devastanti. Risorse che possono essere rese disponibili grazie anche alla tassazione delle attività a forte impatto climatico e al phasing-out dei sussidi alle fossili, in grado di mobilitare sino a 5.000 miliardi di dollari l'anno''.