James Blake contro le case discografiche: "Dovrebbero pagare un terapeuta ai loro artisti"

James Blake contro le case discografiche: "Dovrebbero pagare un terapeuta ai loro artisti"

James Blake contro le case discografiche: "Dovrebbero pagare un terapeuta ai loro artisti" Photo Credit: agenziafotogramma.it


Il messaggio alle label in una serie di post su X: "Tutti hanno un interesse personale affinché l'artista abbia successo"

Sangiovanni, Mr. Rain, Ghemon, Levante. Negli ultimi mesi sono stati sempre di più gli artisti ad accendere una luce sul tema della salute mentale, sopra e sotto il palco. E da oltremanica arriva la proposta di James Blake: “Le case discografiche dovrebbero essere obbligate a pagare un terapeuta agli artisti”.

JAMES BLAKE CONTRO LE LABEL

Il cantautore britannico, che recentemente si era scagliato contro le piattaforme di streaming musicali, ha affidato a una serie di post su X il suo appello agli addetti al settore: “Non è giusto che le case discografiche guadagnino grazie ai nostri traumi senza aiutarci ad affrontarli”. Manager e organizzatori di concerti non sono esentati: sempre secondo Blake, infatti, “tutti hanno un interesse personale affinché l’artista abbia successo, ottenerlo però significa sradicarlo dalla rete di sostegno, dalla famiglia e dagli amici, e gettarlo in uno strano mondo alienante fatto di tour e rapporti parasociali”. Non è la prima volta che la star si espone sul tema: in passate interviste aveva posto l’accento sull’impatto che le tournée possono avere sulla salute mentale dei musicisti.

SANGIOVANNI E GHEMON, LA SALUTE MENTALE DEGLI ARTISTI IN ITALIA

A fare da apripista sul tema in Italia era stato Sangiovanni, che con un post su Instagram pubblicato a metà febbraio aveva annunciato l’allontanamento momentaneo dalle scene: “A volte bisogna avere il coraggio di fermarsi”, aveva scritto il 21enne. “Credo tanto nella mia musica e in questo progetto ma allo stesso tempo non ho le energie fisiche e mentali in questo momento per portarlo avanti. Voglio stare bene per condurre al meglio la musica vista come ‘lavoro’”, aveva specificato. Gli aveva fatto eco Ghemon, che senza mezzi termini aveva esortato l’industria a porre maggiore attenzione sul benessere degli artisti: “Abbiamo bisogno dei dischi di un altro Tenco, non del suo tragico finale. Lo dico perché magari potevo essere io se non avessi tenuto botta”.



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