30 settembre 2020, ore 18:19
I giudici della Corte d'Assise d'Appello di Roma hanno inflitto anche 9 anni e 4 mesi alla moglie e ai figli. Ciontoli: "Chiedo perdono"
Marco Vannini il 18 maggio del 2015 è stato ucciso per mano del padre della sua fidanzata, Antonio Ciontoli, in una azione che rientra nell'omicidio volontario. Lo hanno cristallizzato i giudici della Corte d'Assise d'Appello di Roma che hanno condannato Ciontoli a 14 anni di carcere. I giudici hanno inflitto 9 anni e 4 mesi al resto della famiglia, la moglie di Ciontoli, Maria Pezzillo e i figli Federico e Martina, fidanzata di Vannini. Accolto totalmente l'impianto della procura generale che aveva chiesto di riconoscere la fattispecie più grave per il capofamiglia e in subordine il concorso anomalo in omicidio volontario per gli altri imputati.
La vicenda giudiziaria
Dopo cinque anni dai fatti arriva forse la svolta giudiziaria decisiva per una tragica vicenda che ha sconvolto, di fatto, due intere famiglie. Il secondo processo di Appello era stato disposto dalla Cassazione che nel febbraio scorso ha annullato la prima sentenza d'Appello in cui era stata riconosciuta l'ipotesi più lieve dell'omicidio colposo portando la pena inflitta in primo grado, 14 anni, a 5 per Antonio Ciontoli. La Suprema corte ha ordinato, quindi, un nuovo giudizio indicando una decina di indizi di colpevolezza sufficienti a contestare l'omicidio volontario.
Cosa è successo quella notte
La morte di Vannini è stata causata da un micidiale mix di imprudenza e incoscienza. L'imprudenza legata all'utilizzo di una arma, regolarmente detenuta, in una sorta di "folle gioco" e la colpevole incoscienza di non avere avvisato subito i soccorsi che se fossero intervenuti subito avrebbero potuto salvare la vita del 21enne. I fatti risalgono alla notte tra il 17 e il 18 maggio di cinque anni fa nell'abitazione di Ciontoli a Ladispoli. In base al racconto fornito dagli imputati, Marco viene raggiunto da un colpo di pistola alla spalla mentre si trova in bagno con la fidanzata Martina e suo padre. La prima chiamata al 118 arriva solo 40 minuti dopo quello sparo. Da lì una catena di ritardi e omissioni che hanno, di fatto, causato la morte per emorragia del giovane 21enne causata dalle lesioni del proiettile. "E' solo un attacco di panico, un grande spavento. Dovete stare tranquilli, è un colpo d'aria partito dalla pistola", disse Ciontoli, stando al racconto dei familiari. Una ricostruzione di comodo, una versione che a detta della Procura non può reggere.
Ciontoli: "Chiedo perdono"
"Un secondo dopo lo sparo è scattata la condotta illecita - ha detto il pg Vincenzo Saveriano oggi in aula -. Tutti i soggetti sono rimasti inerti, non hanno alzato un dito per aiutare Marco. Un pieno concorso, una piena consapevolezza di quello che voleva fare Antonio Ciontoli e cioè di non far sapere dello sparo. Tra la vita di Marco e il posto di lavoro del capofamiglia, hanno scelto la seconda cosa". Per l'accusa una intera famiglia "ha detto menzogne in serie" per mettere in atto un "disegno programmato a cui tutti hanno aderito". Prima che i giudici entrassero in camera di consiglio, Antonio Ciontoli ha chiesto di potere fare dichiarazioni spontanee, tentando di alleggerire la posizione dei familiari e prendendosi tutta la responsabilità della morte di Vannini. "Chiedo perdono per quello che ho commesso e anche per quello che non ho commesso. So di non essere la vittima ma il solo responsabile di questa tragedia", una ammissione piena e poi l'accenno a Vannini, tra le lacrime. "Quando si spegneranno le luci su questa vicenda, rimarrà il dolore lacerante a cui ho condannato chi ha amato Marco. Resterà il rimorso di quanto Marco è stato bello e di quanto avrebbe potuto esserlo ancora e che a causa del mio errore non sarà. Marco è stato il mio irrecuperabile errore".