"La biblioteca dei libri dimenticati", Venezia diventa la porta d’accesso per il mondo della letteratura classica mondiale: ci racconta i retroscena l’autore, Nicola Pesce

"La biblioteca dei libri dimenticati", Venezia diventa la porta d’accesso per il mondo della letteratura classica mondiale: ci racconta i retroscena l’autore, Nicola Pesce Photo Credit: "La biblioteca dei libri dimenticati" di Nicola Pesce, Mondadori
05 marzo 2025, ore 08:00
Un viaggio di scoperta dalle tantissime sfumatura quello dei protagonisti di questo romanzo, che dalle calli di Venezia porta i lettori a spasso nel mondo e nel tempo
Riuscire a districarsi tra le tantissime uscite che, giorno dopo giorno, affollano gli scaffali delle librerie non è per niente facile. È anzi facilissimo perdersi tra le variopinte copertine che richiamano la nostra attenzione con colori magnetici o titoli altisonanti.
Ci proviamo noi a fare il punto della situazione nella rubrica domenicale dedicata ai libri più interessanti della settimana, certo. Ma è bello anche approfondire con gli autori stessi tutti i dietro le quinte della lavorazione di questo o quel libro. Scrittori e scrittrici che hanno impresso la loro personalità ai personaggi, che ne hanno dosato le sfumature e sono stati capaci di creare quella magia che solo le grandi storie sanno regalare.
Qualcosa che questa settimana abbiamo fatto con Nicola Pesce, autore de “La biblioteca dei libri dimenticati”, edito da Mondadori.
ALLA SCOPERTA DE “LA BIBLIOTECA DEI LIBRI DIMENTICATI”
Ciao Nicola, comincio subito dandoti la parola per un flash sulla storia: di cosa parla "La biblioteca dei libri dimenticati"?
"Parla del potere dei classici della letteratura.
Una ragazza triste, (Leda, ndr) che non si piace, fugge via dalla propria città e, dopo mille vicissitudini, apre una libreria a Venezia e scopre una biblioteca segreta dietro un muro.
Lì trova i libri che i grandi scrittori del passato avevano “dimenticato”.
A me capita spesso, la notte sul cuscino, di avere idee meravigliose e poi scoprire al mattino di aver dimenticato tutto. Così mi sono domandato spesso: chissà che opere dimenticava Kafka sul cuscino!
Ma non basta. La protagonista trova anche il modo di incontrare questi autori, passeggiare con Leopardi a Recanati, con Dostoevskij a San Pietroburgo.
E le loro parole la curano. La aiutano a impossessarsi della sua vita."
Come mai la scelta di ambientare la storia a Venezia?
"Perché ebbi una grandissima fortuna. Quella di andare a Venezia appena terminarono le restrizioni del Covid. Persino prenotare era stato un azzardo!
E trovai questa città incredibile e vuota. I ristoratori si inchinavano al mio passaggio come se avessero visto una bestia sacra.
E per una settimana quella città che ha domato l’acqua è stata mia. Ne ho un ricordo straordinario.
È un libro che si sviluppa progressivamente in tanti modi diversi. Se dovessi inserirlo in una categoria (o magari dovessi creare una ad hoc), quale sarebbe?
"Io non amo le categorie. Oggi i libri sono così tanti che abbiamo cominciato a metterli nelle categorie. Ma per esempio io credo che Delitto e castigo di Dostoevskij sia un romanzo della grande letteratura classica. Non credo che sia un giallo, un thriller eccetera.
Se mi puntassero un coltello alla gola e mi costringessero ad assegnare questo libro a una categoria, io piangendo di disperazione direi che contiene dialoghi filosofici, come tutti i miei libri, e che la trama è tutta una scusa per esporre questi dialoghi in cui Leda si confronta con Leopardi, in cui Leda si confronta con Dostoevskij, in cui il piccolo gattino nero Erinni si confronta con la vita da gatto randagio tra le calli di Venezia."
Si dice che i personaggi dei libri abbiano delle caratteristiche caratteriali (perdona il gioco di parole) che mutuano dai loro autori. Che cos'ha la protagonista che riconduce a te?
"Io credo di essere molto più il gattino del libro. Con la sua voglia di esplorare il mondo e vedere tutto ogni giorno con occhi nuovi, pronti alla meraviglia.
Della protagonista ho senz’altro l’amore per i libri, per il rito mattutino del caffè. Se non avessi conosciuto l’amore della mia vita, in comune con Leda avrei avuto la solitudine. Quel tipo di solitudine che ti fa essere nel mondo, ma non parte del mondo. Quella disperazione di non essere compresi che, attraverso il libro, la protagonista supera.
Il piacevole, incredibile dramma di aver scritto un libro così accorato che aveva una donna come protagonista è che dopo alcuni mesi io ho cominciato a fare i sogni di Leda, a ragionare come lei. È stato piuttosto straniante e soprattutto molto educativo."
RIFLESSIONI CON I GRANDI AUTORI
Uno degli argomenti a cui si accenna, nel libro lo si fa senza scendere in pareri soggettivi, è anche la iperproduzione libraria rispetto al passato. Qui vogliamo però un parere, inter nos: è un bene o un male?
"È senz’altro un male. Un tempo, quando si cuciva un vestito, durava generazioni. Quando si erigeva un palazzo era per millenni. Poi piano piano abbiamo cominciato ad “arronzare”, a fare le cose male e a poco prezzo, cosicché potessero averle tutti.
Poi però tutti hanno voluto cento vestiti nell’armadio, e così abbiamo cominciato a rovinare il mondo, a inquinare e così via. Io personalmente posseggo 5 camicie.
Vale lo stesso per i libri. Leopardi scrisse in una delle sue Operette Morali, e ripete nel mio romanzo, che oggi i libri si scrivono perlopiù in minor tempo di quello che ci vuole per leggerli. Aveva ragione.
Oggi chiunque scrive libri. E le persone non li comprano perché un artista è bravo e ha la sua visione del mondo ma perché un “artista” è più o meno popolare, appare più o meno in televisione. Quindi uno scrittore per vendere non deve più sapere scrivere bene, trovare il cuore delle cose, ma deve essere popolare: ed è meglio che non scriva certe cose se poi corre il rischio di essere meno popolare. Meglio che non faccia storcere mai il naso al suo pubblico.
Vale anche per me, certamente. Senza i social non avrei potuto conquistare il mio seguito, non lo metto in dubbio. Ma mi sono promesso, e ho promesso ai miei lettori, di non badare mai a loro quando scrivo. Di pensare solo a me stesso. Li rispetto troppo per compiacerli.
Ad ogni modo, l’oro ha valore perché se ne trova poco. Se tutti i palazzi diventassero d’oro, non varrebbe più niente. Ed è questa la sensazione che provo. Ci sono troppi scrittori, pochi lettori. Meno scrittori che lettori. Cioè molti scrivono persino senza aver letto.
Eppure io mi domando se non sarebbe bello pubblicare non 85mila libri nuovi ogni anno, ma solo un migliaio, e che questi durassero nel tempo."
All'interno del libro ci sono tante "frasi storiche". Sono nate prima quelle, con la storia che si è sviluppata intorno, oppure viceversa, sono nate loro dalle situazioni che stavi già precedentemente narrando?
"Una delle cose che mi ha fatto più piacere scrivendo La biblioteca dei libri dimenticati è che amavo così tanto Giacomo Leopardi, Fëdor Dostoevskij e Franz Kafka che li conoscevo a fondo. Tanto a fondo da sapere cosa avrebbero detto in una determinata situazione. Non a livello ipotetico, ma proprio con le loro stesse parole, i loro stessi scritti.
Quindi non è nato né prima l’uovo né prima la gallina: il libro si è sviluppato da sé, in modo sereno. E mentre Giacomo parlava con Leda, mi veniva naturale fargli usare le sue stesse parole senza rovinare l’armonia di una conversazione fra amici."
Sei un fermento di idee e spunti, e lo si vede dai tuoi social. Hai già qualcosa che bolle in pentola per il futuro?
"Ahimè, il mio dramma è che troppe cose fremono dentro di me! Devo fare attenzione ad evitare di fare come un cuoco che per preparare troppe pietanze contemporaneamente alla fine le fa bruciare tutte! Quindi la cosa più bella che bolle in pentola nel mio futuro è diventare un uomo tranquillo, fare in modo che non accada nulla di importante nella mia vita, che io possa leggere e scrivere in modo sereno, ma infuocato, e infine comunicare tutta questa serenità alle lettrici, ai lettori.
Chi lo sa, magari oggi c’è più bisogno di gente tranquilla che di gente in fermento!"