14 ottobre 2021, ore 12:09
La recensione del film diretto da Stefano Mordini e tratto dall'omonimo romanzo di Edoardo Albinati
Siamo nel pieno degli anni 70. Il film di Stefano Mordini "La scuola Cattolica" si apre con un'immagine iconica e una data precisa. 30 settembre 1975, una FIAT 127 parcheggiata in un quartiere "Bene" di Roma e alcune urla rotte dal dolore di Donatella Colasanti (nel film interpretata dignitosamente da Benedetta Porcaroli), chiusa nel portabagagli assieme al cadavere di Rosaria Lopez. Insomma, si sceglie di cominciare dalla fine, un pò per ricordare che la storia che il film si accinge a raccontare è marchiata da un destino ineluttabile, che non può essere modificato.
Il resto della pellicola focalizza il racconto sulla tipica vita scolastica all'interno di un rinomato istituto religioso maschile della Roma bene. Qui gli studenti, figli della borghesia romana, vengono educati al meglio per un radioso domani, schermati dalla decadenza della civiltà. I genitori, infatti, sono convinti che nella scuola i loro figli possano vivere al di fuori dal caos, dalle sommosse e dal fermento che scuote gli anni Settanta e concentrarsi grazie alla rigida educazione imposta, sul loro futuro professionale. Ovviamente, com'è noto così non sarà.
È indubbio che ci si trovi di fronte a film urgente e necessario che vuole con tutto sé stesso smuovere le coscienze, eliminare il velo di perbenismo e ipocrisia che troppo spesso offusca la società, ma soprattutto cerca di raccontare un presente che in fin dei conti, non è poi così diverso da quel passato glorioso e infausto.
Il problema è una narrazione che si perde nei meandri di molteplici personaggi, senza mai riuscire ad approfondirli veramente e rimanendo sostanzialmente superficiale. La scelta di segmentazione del tempo filmico in una serie di andirivieni temporali (3 mesi prima, 1 giorno dopo, 130 ore prima) appesantisce il senso generale, non aggiungendo nulla di rilevante all'intreccio, che forse sarebbe stato meglio costruire in modo lineare.
La scena del famigerato massacro del Circeo, viene presentata in modo frettoloso, sfruttando tutti i clichè e le banalità, e senza dare un giusto spessore psicologico ai personaggi. La sensazione che si ha è che sia stata buttata lì solo perché doveva esserci. Non c'è spettacolarizzazione della violenza, ma non c'è nemmeno distacco o freddezza da parte dell'autore. Solo infinito nulla creativo e una sequenza sciapa e stereotipata che regala solo emozioni di plastica.
Detto ciò anche un orologio rotto due volte al giorno segna l'ora esatta: il film possiede una fotografia divina e suggestiva che riesce ad evocare alla perfezione il clima degli anni 70. Anche la regia stessa, talvolta, non manca di trovate geniali ed originali.
Grande plauso anche agli attori in generale che si distinguono per un bel lavoro interpretativo ed emozionale.