Lady Obama e Newsom, il toto-nomi al posto di Biden. L'ostacolo Kamala Harris. Per i Democratici non c'è un piano B o C o D
Lady Obama e Newsom, il toto-nomi al posto di Biden. L'ostacolo Kamala Harris. Per i Democratici non c'è un piano B o C o D Photo Credit: Fotogramma.it
11 febbraio 2024, ore 08:00
Il senatore repubblicano Mitt Romney difende Joe Biden dopo il rapporto del procuratore speciale Robert Hur sulle carte segrete. Ho lavorato con il presidente e non ho mai visto nulla di anormale. Ogni tanto si dice una parola sbagliata. Donald Trump ha detto tre volte Nikki Haley invece di Nancy Pelosi
Joe Biden non ha dato alcun segnale di voler lasciare la corsa alla Casa Bianca. Il partito democratico, almeno all'apparenza, fa muro intorno al suo presidente-candidato e, anche volendo, avrebbe le mani legate per sostituirlo a questo punto della campagna. Nonostante questo, il toto-nomi su chi potrebbe sostituire Biden come candidato democratico impazza.
MICHELLE, SOGNO PER DEMOCRATICI, INCUBO PER I REPUBBLICANI
Come ogni volta che si apre un simile dibattito rispunta il nome di Michelle Obama, il sogno di molti giovani democratici e il possibile incubo dei repubblicani. All'ex First Lady si aggiungono i nomi del governatore della California Gavin Newsom e della governatrice del Michigan Gretchen Whitmer. "Michelle Obama ama questo paese, è una persona brillante e una brillante comunicatrice. Ma la politica non le piace. Ci sono più chance che io balli il prossimo anno al Bolshoi che Michelle si candidi", afferma David Axelrod, l'ex stratega di Barack Obama, cercando di spegnere le voci che si rincorrono. "Non c'è un piano B, un piano C, o piano D. Quindi combatteremo fino alla fine" per Biden, aggiunge un altro stratega democratico ed ex dell'amministrazione Obama con il Washington Post. Altri osservatori notano come l'altro grande ostacolo da superare, qualora si cercasse di sostituire Biden, è quello della vice presidente Kamala Harris, la sostituta naturale del presidente che, però, nei sondaggi fa peggio di Biden. Nessuno probabilmente si vorrebbe schierare contro Harris, anche perché ne nascerebbe un caso nazionale dalla implicazioni profonde in quanto sarebbe letto come un attacco ad una candidata donna afroamericana. Mentre le voci e i sogni si rincorrono, la realtà e le regole vigenti non offrono molte chance ai democratici per cambiare la corsa in atto.
IPOTESI PASSO INDIETRO VOLONTARIO
Una delle poche alternative è un passo indietro volontario di Biden, come fece Lyndon Johnson nel 1968. Il suo allora vice Hubert Humphrey si diede battaglia per mesi con l'altro aspirante democratico Robert F. Kennedy, poi ucciso nel giugno dello stesso anno. Humphrey conquistò la nomination fra le proteste nella convention a Chicago per poi perdere alle elezioni contro Richard Nixon.
LA CONVENTION DEMOCRATICA
Quest'anno la convention democratica si svolgerà a Chicago come nel 1968, una coincidenza che non passa inosservata. Ma se Biden non si farà volontariamente da parte, i democratici hanno di fatto le mani legate: il presidente ha il pieno appoggio del Democratic National Committee e un accordo con questo sulla raccolta fondi. Entro la metà di marzo, inoltre, Biden potrà contare sull'impegno di un numero sufficiente di delegati democratici da assicurarsi la nomination. Questo significa che alla convention di Chicago i timori su Biden dovrebbero essere così pesanti da convincere gli stessi delegati che si sono impegnati con il presidente a cambiare voto. Dopo la convention sarebbe praticamente impossibile per un nuovo candidato presidenziale sostituirlo, a meno che Biden non risultasse incapace di svolgere le sue funzioni.