Lance Armstrong e doping: il tumore forse causato dall'uso di sostanze dopanti
Lance Armstrong e doping: il tumore forse causato dall'uso di sostanze dopanti
19 maggio 2020, ore 14:00
Lance Armstrong rivela l'uso di sostanze dopanti dall'inizio della carriera e ammette che probabilmente il tumore da cui è guarito fosse provocato dalle sostanze illecite
Anche l’ultimo velo è caduto. Ora Lance Armstrong può essere considerato a tutti gli effetti il simbolo dell’inganno-doping che per anni ha infestato il mondo del ciclismo. Che nella fase matura della sua carriera avesse trionfato per sette anni di fila al Tour de France truccando le carte, si sapeva. Ora lui stesso ammette che il doping ha sempre fatto parte della sua vita da ciclistica, anche da giovane. E adombra il sospetto che il tumore ai testicoli (da cui poi è guarito) fosse figlio dell’abuso di sostanze illecite.
Vecchie colpe, nuove ammissioni
Il campione texano ha fatto nuove rivelazioni in occasione di un film-documentario girato dal colosso televisivo americano Espn, che uscirà domenica prossima, il 24 maggio. Una parte del contenuto è stata anticipata, e si tratta di rivelazioni-choc. Questo un passaggio significativo della sua intervista: “già nella mia prima stagione da professionista assumevo il cortisone, ma l'Epo era di un altro livello. La prima volta che ho usato sostanze dopanti è stato quando avevo 21 anni. L'ho fatto in maniera consapevole, sapevo quello che stava accadendo. Ho sempre chiesto, sempre saputo e ho sempre preso le mie decisioni da solo. Non voglio trovare scuse o giustificazioni, ma a quell’epoca tutti i ciclisti assumevano farmaci; io facevo parte di un sistema ed ero il più forte, quindi avrei vinto comunque”. In riferimento alla sua malattia Armstrong aggiunge: “Non posso sapere con certezza se ci sia stato un legame tra doping e il cancro, ma certamente non posso escluderlo”.
Il ragazzino campione del mondo
La carriera di Lance Armstrong sembrava una favola, un esempio per tutti. Ma alla fine si è rivelata una gigantesca bugia. Il corridore americano nel 2012 è stato squalificato a vita. Il percorso nel ciclismo professionistico per questo tenace ragazzo americano è iniziata nel 1992. Era bastato un anno perché Armstrong salisse sul tetto del mondo: nel 1993, a soli 22 anni, aveva conquistato la maglia iridata, vincendo il mondiale a Oslo, in Norvegia. Poi nei due anni successivi si era imposto nella Classica di San Sebastian (in Spagna) e aveva conquistato un paio di successi di tappa al Tour de France.
La malattia e la resurrezione
Poi nel 1996 la terribile, improvvisa sentenza: gli viene diagnosticato un carcinoma testicolare metastatico, un tumore potenzialmente letale. Lance combatte, ma la battaglia è dura: la chemioterapia gli fa perdere peso e capelli. C’è una foto di lui in ospedale, sfinito e attaccato a una flebo. La fine sembra vicina. Ma Armstrong non solo torna alla vita, riesce a tornare anche al ciclismo ed è più forte di prima. Con un po’ di retorica si scrive che chi ha saputo sconfiggere una malattia mortale non può temere avversari in un arrivo in salita. Ma la realtà è un’altra: Armstrong ha sicuramente talento e una impressionante forza di volontà, ma non c’è solo quello.
L’apoteosi e l’inganno
Nel 1999, poco più di un anno dopo la guarigione dal tumore, Armstrong vince il Tour de France, la più prestigiosa e difficile corsa a tappe del mondo. E’ lo spot della rinascita, e il texano usa in modo lodevole la sua storia per aiutare gli altri malati di cancro, attraverso una fondazione che ha raccolto miliardi di dollari. Ma quello in Francia non un exploit; Armstrong si ripete per altre sei edizioni, la maglia gialla di leader della classifica ormai sembra una sua proprietà esclusiva. La sua popolarità è alle stelle: viene ricevuto alla Casa Bianca, grazie a lui il ciclismo diventa popolare negli Stati Uniti, gli sponsor fanno a gara per arricchirlo. Ma già c’è chi vede qualcosa di sospetto; il doping però è sempre avanti rispetto all’antidoping e lui respinge ogni accusa e sembra sempre uscirne pulito. Fino a che nel 2012 una inchiesta dell’Agenzia Antidoping Americana lo inchioda come il “capofila del programma di doping più sofisticato, professionale e di successo che lo sport abbia mai avuto”.