Lunga vita a David Lynch, regista che ha messo in scena l'oscurità attraverso la luce
17 gennaio 2025, ore 17:30
È stato il primo in grado di avere la forza e il coraggio di portare il linguaggio del cinema all’interno del piccolo schermo della televisione
Non esistono parole appropriate per poter descrivere in un pugno di frasi quello che David Lynch ha rappresentato per il cinema e l’arte in generale. Con le sue opere è riuscito meglio di chiunque altro a rifondare l’essenza stessa della settima arte, cambiando la grammatica audiovisiva per condurla dove non era mai stata prima e dove, probabilmente, non andrà mai più. Non è stato il regista delle immagini, come è stato invece Stanley Kubrick, lui è stato il poeta delle sensazioni, il cantore delle emozioni e di ciò che pervade il fotogramma, rendendolo unico, magico e ignoto. In tutti i suoi film, da “Eraserhead” fino a "Inland Empire” Lynch ha tentato di esplorare l'oscurità più inquietante, utilizzando però la luce più brillante e accecante. Ha reso visibile ciò che non era visibile, rendendolo allo stesso tempo così inafferrabile e tangibile. È stato il poeta degli incubi, in opposizione a Fellini che invece, oltre a condividere con Lynch il giorno di nascita, è stato il regista dei sogni.
IL CINEMA INVADE LA TV. LA RIVOLUZIONE DI TWIN PEAKS
Lynch è stato il primo in grado di avere la forza e il coraggio di portare il linguaggio del cinema all’interno del piccolo schermo della televisione. É bastato un cadavere imprigionato in un involucro di plastica per dare inizio ad un odissea sovrumana che ancora oggi resiste alla polvere e all’usura. É stata la serie cult degli anni 90 che ha rivoluzionato il panorama audiovisivo. Non esiste telefilm o serie televisiva attuale che non sia in debito con Twin Peaks e con quel mondo che piano piano ha contaminato la nostra identità, entrando di diritto nell’immaginario collettivo. Ha segnato profondamente generazioni e generazioni non smettendo mai di sconvolgere, stupire, emozionare e stravolgere anche le menti più fini. Si torna ad essere bambini perché scava l’anima fino alle origini di noi stessi, ma allo stesso tempo ci si sente adulti e maturi per via di una consapevolezza di fondo che pervade ogni fotogramma. Su Canale 5, per anticipare la venuta nel nostro paese della serie clamorosa, in uno spot una frase recitava: “Twin Peaks ha tutto ma non assomiglia a nulla”. E ancora oggi, a distanza di 35 anni, è ancora incredibilmente così.
L’ULTIMO LYNCH, DA “TWIN PEAKS 3” A SPIELBERG
L’ultimo film per il grande schermo, “Inland Empire”, risale al 2006, ma per fortuna nel corso di questi quasi vent’anni, Lynch ci ha regalato la terza stagione di Twin Peaks, il suo commiato artistico che probabilmente rappresenta anche l’apice creativo di tutta la sua poetica. Distante anni luce da qualsiasi cosa prodotta fino ad allora, lascia senza fiato dall’inizio alla fine di ogni episodio. Un forsennato tour de force all’interno delle immagini più eclatanti mai pensate da una mente umana, che spiazzano, inquietano, stordiscono e ammaliano. Un viaggio nei misteri del creato e nei meandri più nascosti dell’animo umano, che sembrano parlare la stessa lingua di Lynch. Tutto cambia pur continuando a far rima con la serie originale. L’atmosfera è più rarefatta e claustrofobica, il ritmo dilatato per enfatizzare ogni momento e i toni sono più oscuri e spettrali. Il tutto è arricchito da un andirivieni di fughe metafisiche che trasportano lo spettatore oltre i confini dell’immaginazione, toccando la vetta più alta di qualsiasi forma d’arte. La terza stagione di Twin Peaks è come il mare o il cielo. Non può essere contenuta, È immensa. Non ha limiti, né confini. Respira di cinema e va oltre.
Ma la sua ultima apparizione (letteralmente) risale al 2022. Nel film “The Fabelmans” di Steven Spielberg, Lynch appare alla fine nei panni di un altro leggendario uomo di cinema, John Ford. Anche se parliamo di un cameo, Lynch nei panni di Ford ruba la scena e condensa l’intera arte del cinema in un consiglio: “Quando l’orizzonte si trova alla base è interessante. Quando l’orizzonte si trova in cima è interessante. Quando l’orizzonte si trova in mezzo è una merda noiosa”. Ma forse l’orizzonte nei film di David Lynch è sempre stato un punto indefinito, un mistero sfumato, o magari niente di tutto questo. Perché Lynch non può essere spiegato, capito o afferrato. Occorre scrutarlo come si guarda il cielo stellato, cogliendone la bellezza accettandone il mistero.