11 luglio 2022, ore 18:37 , agg. alle 19:11
A Montecitorio i grillini non erano presenti, ma avevano detto sì alla fiducia. A Palazzo Madama non c’è la votazione disgiunta, se non si vota di fatto si toglie il sostegno al governo. Forza Italia con Berlusconi invoca una verifica di maggioranza
Mario Draghi a sorpresa ha visto di nuovo Mattarella. Tutto quando i 5S alla Camera hanno lasciato platealmente l'Aula al voto (favorevole) sul Decreto Aiuti, dopo aver però dato disco verde alla fiducia giovedì scorso. Ma per il M5S ora si apre il fronte più caldo, quello del Senato dove il voto non può essere disgiunto: sì o no alla fiducia e, dunque, al decreto che reca in sé la dibattuta norma, invisa ai grillini, che apre la strada al termovalorizzatore a Roma. L'idea che prevaleva già la scorsa settimana tra i senatori M5S ma anche nei vertici pentastellati, è quella di non partecipare al voto in Aula, però sulla questione, in realtà, tace ancora il presidente del M5S Giuseppe Conte, che non ha sciolto la riserva sulla linea da tenere, anche se la strada dell'Aventino parlamentare sembra al momento quella più percorribile. Lo è quanto meno per i senatori 5 Stelle, pronti al pressing sul loro leader per tenere la linea dura, costi quel che costi.
Il segnale
Nel quartier generale 5S di via di Campo Marzio si attende un 'segnale' da Draghi, che potrebbe arrivare già domani, quando il presidente del Consiglio vedrà i sindacati per parlare di lavoro -dal taglio del cuneo fiscale al salario minimo- tra i temi più caldi e sentiti nel documento che Conte ha consegnato al premier lunedì scorso. Al Senato, però, la linea 'barricadera' sembra prevalere a prescindere. Con una decina di senatori, stando alle indiscrezioni raccolte , pronti a non votare la fiducia, anche se l'indicazione dei vertici dovesse andare in direzione contraria. "Io la fiducia non gliela voto nemmeno se vengono a prendermi a casa...", si legge in uno dei tanti messaggi rimbalzati sui telefonini dei senatori M5S. Anche gli uomini più vicini a Conte, del resto, spingono per l'Aventino: "Tornare indietro ormai è impossibile", il ragionamento.
La riserva
La riserva andrà sciolta nelle prossime 48 ore, all'orizzonte un'assemblea dei senatori pentastellati che si terrà alla vigilia del voto. Intanto l'uscita dall'Aula alla Camera - nonostante il via libera alla fiducia - apre già la strada alle polemiche nella maggioranza: viene bollata come "gravissima" da Forza Italia, "non potrà essere priva di conseguenze", sentenziano gli azzurri. Al Senato, trattandosi delle fiducia, un'eventuale assenza dei 5 Stelle sarebbe ancor più fragorosa, con conseguenze potenzialmente dirompenti. E, ironia della sorte, potrebbe avere persino contraccolpi legali per il M5S. Lorenzo Borré, il legale che da anni ormai dà filo da torcere al Movimento, rimarca come molti parlamentari pentastellati - il primo è stato Gregorio De Falco - siano stati espulsi dal partito per violazione della clausola del codice etico che impone il voto di fiducia a governi il cui premier "sia espressione del Movimento". Non votare la fiducia, per l'avvocato, si tradurrebbe in una violazione delle regole M5S di fatto perseguibile.
Il Pd
E c’è preoccupazione per le spinte centrifughe che si registrano nel M5s, ma tra i parlamentari del Partito Democratico si coltiva anche la speranza che non sarà il voto di giovedì al Senato sul Dl Aiuti a sancire l'uscita dei Cinque Stelle dalla maggioranza. Questo, almeno, a scandagliare gli eletti dem. Con la fiducia votata alla Camera, Giuseppe Conte ha ribadito di voler continuare a sostenere il governo, pur segnalando alcuni punti critici del decreto, spiegano i dem in Transatlantico. E se è vero che sul provvedimento i Cinque Stelle hanno deciso di non votare, al Senato non è previsto doppio voto. Dunque, o dentro o fuori. E per i deputati dem sarà dentro, salvo novità eclatanti delle prossime ore.