18 dicembre 2020, ore 11:31 , agg. alle 12:11
Nella casa di Giuseppe Costa, arrestato oggi nuovamente dai Carabinieri del Comando Provinciale di Trapani e dagli uomini della DIA, gli investigatori hanno ritrovato la cella in muratura dove il ragazzino aveva passato mesi terribili prima di essere ucciso e poi sciolto nell’acido nel mese di gennaio del 1996
La sua casa era diventata la prigione di Giuseppe Di Matteo che, a 12 anni, aveva solo una colpa, quella di essere figlio di Mario Santo, detto Mezzanasca, il boss di Costa Nostra che, dopo il suo arresto nel mese di giugno del 1993 aveva cominciato a collaborare con la giustizia.
Costa, in carcere dal 1997 al 2007, non si è mai pentito
Durante la lunga detenzione, Giuseppe Costa, condannato per il concorso nel sequestro e l’omicidio di Giuseppe Di Matteo, ha continuato a ricevere il sostegno economico del sodalizio mafioso senza mai collaborare con gli inquirenti; e quando è tornato in libertà, ha rinsaldato le sue relazioni con i vertici dei mandamenti di Trapani e Mazara del Vallo per l’aggiudicazione di appalti, le speculazioni immobiliari, risoluzione di dissidi tra privati. Giuseppe Costa secondo i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, che ne hanno ordinato l’arresto, avrebbe partecipato alla "mobilitazione mafiosa" messa in atto per le elezioni regionali dell'autunno del 2017. Le famiglie mafiose di Trapani e Marsala si erano interessate a procurare voti in particolare in favore di una candidata poi non eletta, Ivana Inferrera, sottoposta a processo, e assolta. Il suo ruolo era stato poi fondamentale nel tutelare gli interessi di Cosa Nostra in una ditta di materiali edili di San Vito lo Capo, finita sotto l’influenza dei clan del trapanese, la Calcestruzzi Barone s.r.l. di San Vito Lo Capo a cui era stato richiesto di fornire una parte dei proventi ai clan. Giuseppe Costa, inoltre, si sarebbe occupato di recuperare crediti per conto dell'esponente mafioso trapanese Antonino Buzzitta in seguito processata e assolta.
Sono passati quasi 25 anni dal brutale omicidio di Giuseppe Di Matteo
Quella di Giuseppe Di Matteo è stata, probabilmente, una delle azioni criminali di Cosa Nostra più crudeli di sempre: prima il sequestro il 23 novembre del 1993, quando il ragazzino di soli 12 anni fu fermato dai nemici del padre, collaboratore di giustizia, con l’inganno fuori al maneggio dove si allenava, poi due anni e mezzo dopo, l’11 gennaio 1996, i mafiosi, uccisero, senza pietà, il ragazzino che avrebbe compiuto quindici anni otto giorni dopo, e ne sciolsero il corpo nell’acido. A organizzare il suo sequestro Giovanni Brusca, capo mandamento di San Giuseppe Jato, per convincere suo padre Santino a ritrattare le sue rivelazioni ai magistrati sull’omicidio di Ignazio Salvo e sulla strage di Capaci in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della sua scorta. Secondo quanto è stato ricostruito dagli inquirenti, nel periodo del sequestro del piccolo Giuseppe, Giovanni Brusca, apprese dalla televisione che la Corte d’Assise di Palermo aveva condannato all’ergastolo lui e Leoluca Bagarella per l’omicidio di Ignazio Salvo. La notizia lo fece infuriare e per risposta diede a Enzo Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo l’ordine di uccidere il ragazzino. Un epilogo crudele di una vicenda che ancora oggi fa rabbrividire.