17 maggio 2022, ore 09:20
Oltre alle tradizionali forme di infiltrazione nell'economia del territorio e al traffico di droga, i boss del mandamenti Brancaccio e Ciaculli gestivano il sistema delle acque irrigue, costringendo gli agricoltori a comprare l'acqua dalla mafia
Gli affari sporchi dei boss
La mafia di Ciaculli avrebbe anche messo le mani sull'acqua. Soprattutto quella irrigua da fornire ai contadini. Acqua che sarebbe stata sottratta direttamente alla conduttura "San Leonardo", di proprietà del "Consorzio di Bonifica Palermo 2". Gli uomini della famiglia mafiosa di Ciaculli avrebbero deviato l'acqua delle condutture incanalandola in vasche di loro proprietà, per poi ridistribuirla ai contadini nelle campagne Ciaculli-Croceverde Giardini e Villabate. Per molti produttori la famiglia di Ciaculli era diventata punto di riferimento per la gestione di uno dei beni essenziali nella coltivazione.
Le mani della mafia sulla compravendita immobiliare
L'organizzazione mafiosa avrebbe inoltre imposto le cosiddette sensalerie, delle vere e proprie mediazioni, sulle compravendite di immobili nel territorio. Lo hanno appurato gli inquirenti nel corso dell'inchiesta che è approdata all'esecuzione delle custodie cautelari nei confronti dei 31 sospetti affiliati del mandamento mafioso di Ciaculli. Nello specifico, i cittadini, per concludere affari immobiliari, si sarebbero visti costretti ad accettare l'intermediazione degli indagati, sottostando quindi a delle vere e proprie estorsioni.
Armi in grande quantità
Dalle indagini è anche emerso che il clan di Ciaculli avrebbe avuto a disposizione un vero e proprio arsenale di armi. Uno degli arrestati, Emanuele Prestifilippo, è stato trovato con un fucile da caccia marca Beretta calibro 12 e otto munizioni celate all'interno di alcune balle di fieno accatastate nel maneggio di sua proprietà, nella zona di Croceverde Giardini. I militari hanno accertato, infine, che la famiglia mafiosa poteva contare anche su numerose armi semiautomatiche gestite e nascoste nelle campagne di Ciaculli. Armi che sinora non sono state trovate.
Maxi furto di mascherine durante la pandemia
Estorsioni e non solo. Per alimentare le casse di Cosa nostra e mantenere le famiglie dei detenuti i boss di Brancaccio puntavano al traffico di droga. Per fare un esempio, le sei piazze di spaccio del quartiere Sperone, a Palermo, tutte direttamente gestite o, comunque, controllate dagli indagati, garantivano un vero e proprio tesoretto: circa 80mila euro a settimana. Inoltre le indagini hanno appurato la responsabilità dei clan anche dietro al furto di venti cartoni con 16mila mascherine FFp3 sottratte per rivenderle, in piena emergenza epidemiologica.