MORTO CHARLIE WATTS, IL TAMBURINO CHE COMANDAVA I ROLLING STONES. UNA VITA VISSUTA CON SAGGEZZA NELLA BAND
MORTO CHARLIE WATTS, IL TAMBURINO CHE COMANDAVA I ROLLING STONES. UNA VITA VISSUTA CON SAGGEZZA NELLA BAND
24 agosto 2021, ore 21:33
Il batterista è scomparso a 80 anni per i postumi di una operazione al cuore. Il 26 settembre dovrebbe partire da Saint Louis il tour americano del gruppo, con Steve Jordan al suo posto
Chissà se Charlie ha disegnato anche la stanza dell’ospedale di Londra dove, alla fine di una battaglia contro il suo cuore malandato, ha deciso di arrendersi. Per decenni, ad ogni tour, Mr. Watts aveva tracciato gli schizzi di ogni camera d’albergo da lui occupata. Era quello, il suo passatempo contro la malinconia, quando l’amata moglie Shirley non poteva raggiungerlo. Notti da marito fedele, mentre gli altri Rolling Stones si davano alla pazza gioia, tra centinaia di ragazze disponibili e ogni sorta di eccesso. Una volta, ad Amsterdam, Mick Jagger decise di telefonargli quando già si avvicinava l’alba. “Che fine ha fatto il mio batterista?”. Watts lo convocò nella propria stanza e gli mollò un pugno in faccia: “Non azzardarti mai più a definirmi il tuo batterista. Semmai sei tu il mio cantante”. Ed era dannatamente vero. Era Charlie il motore della ditta Rolling: dava il tempo agli altri, li accompagnava e proteggeva senza smanie di protagonismo, aprendo varchi per esaltare la voce di Mick e la chitarra di Keith Richards. Dietro ai tamburi per quasi sessant’anni di vita rock, da una posizione sul palco dalla quale, ripeteva beffardamente, “si può godere del più bel panorama del mondo”. Il sedere di Jagger.
La leggenda e la resa
Era regolarmente al suo posto, Charlie Watts, alla fine dell’Estate dell’Amore del 1967, la Summer of Love psichedelica quando i Rolling Stones conquistavano la cima delle classifiche con “We Love You”, il brano scritto per ringraziare i fans per il supporto dopo l’arresto di Mick e Keith per la scandalosa orgia “stupefacente” in una villa. Non sarebbe stato al suo posto in ogni caso, invece, nell’autunno post-pandemico del 2021. La band aveva già annunciato la sostituzione pro-tempore di Watts per il prossimo No Filter Tour in America, con debutto (salvo ripensamenti) il 26 settembre al The Dome di Saint Louis. Suo supplente d’eccezione sarà l’amico Steve Jordan, collaboratore di lunga data degli Stones. Ma non sarà la stessa cosa, anche pensando a uno struggente tributo per Charlie dal palco. In queste ore nel management dei Rolling ci si chiede se questo non debba essere un passo d’addio, in senso artistico, per delle leggende che sono in giro da quasi sessant’anni. Privati del loro centro ritmico, e del loro fratello saggio, Jagger & Co potrebbero meditare la loro uscita definitiva dalle scene.
La caduta nel turbine degli eccessi
Negli anni ruggenti e folli della storia della band era praticamente impossibile evitare le insidie del vertiginoso, distruttivo stile di vita adottato dai Rolling Stones. Il primo a farne le spese era stato Brian Jones, co-leader della band, scomparso a 27 anni nel ‘69 quando era già troppo strafatto e devastato per dare un proprio contributo. Il secondo, con una mossa autoconservativa, era stato il bassista Bill Wyman, uscito dalla formazione nel 1993 anche per dedicarsi alla sua incresciosa love story con la starlette minorenne Mandy Smith (mentre il figlio di Wyman aveva una relazione con la madre di Mandy). Per Charlie Watts il demone della droga si era fatto avanti dopo il velenoso periodo di residenza (da cui era scaturito il capolavoro “Exile on Main Street”) del gruppo in Costa Azzurra. “Una sera svenni in studio e fui soccorso da Keith Richards, che era il più sballato di tutti”, ricordava il batterista. “Keith mi disse: cose che succedono ai musicisti di oltre sessant’anni. Ma io ne avevo poco più di quaranta. Mi ripulii dopo essermi rotto una caviglia, non avrei potuto suonare drogato marcio. E poi dovevo disintossicarmi per mia moglie e mia figlia”. Aveva una passione per i cavalli che allevava nel Devonshire, per l’eleganza sartoriale e per la pittura. Oltre al jazz che era stato il suo grande amore musicale. Più del rock, del quale era stato impareggiabile metronomo.