MUSE, droni impazziti e macchine del tempo rock
19 giugno 2015, ore 09:36 , agg. alle 11:18
Una remise en forme per la band di Matthew Bellamy, che cerca di avvicinarsi ai fasti del passato con l’ultimo album "Drones"
Muse - che hanno appena pubblicato il nuovo album "Drones" - sono tra le non così tante band riuscite a coronare il sogno di un po’ chiunque faccia musica - incluso chi, per snobismo, non lo ammette: arrivare a tutti, ma proprio tutti, dal ragazzino ribelle all'ascoltatore occasionale, dal virtuoso amante dello strumento a quelli che l’importante è esserci. Risultato ottenuto grazie a un lavoro certosino e lungo una carriera che va avanti ormai da oltre quindici anni, e che li ha visti crescere fino a diventare ospiti fissi negli stadi e nelle arene del mondo intero.
Il settimo album in studio, "Drones", è stato tanto atteso, anche da chi voleva scoprire che strada avrebbero preso i Muse dopo che nel precedente “The 2nd Law” (2012), seguendo un percorso già ampiamente tracciato, si erano rivolti a effetti sempre più elettronici, in cerca di un suono che riuscisse a unire le diverse tipologie di ascoltatori. Il gioco, si sa, è rischioso, per quanto i live da tutto esaurito e il successo mainstream sembrino dire il contrario, e non sono pochi i fan della prima ora a essersi poco per volta allontanati dalla band. In questo senso “Drones”, che si è piazzato subito al secondo posto della classifica italiana, cerca di innescare un effetto inverso, spingendo Bellamy e soci in un viale che procede verso il passato a colpi di chitarre elettriche, pur restando ancorato al presente fatto di suoni più easy.
Dualismo che forse si può leggere anche nella scelta del produttore, "Mutt" Lange, uno che ha in curriculum una pietra miliare come "Back In Black" degli AC/DC, ma anche i Maroon 5. C’è tanto dei Muse in questo disco, a partire dalla volontà di fare nel 2015 un concept album dove il filo conduttore è l’uomo sempre più macchina e sempre meno uomo, tutta roba già vista, ma che ben si sposa con i temi cari alla band. Nonostante le influenze “duraniane” che aprono il disco nel singolo Dead Inside, ritornano le chitarre, e un chiaro esempio è il riff della marziale Psycho, blues a metà strada tra Depeche Mode e The Doors che farà molte vittime negli spettacoli dal vivo della band. Il singolo Mercy, attualmente in rotazione, una carezza in stile Coldplay rivista in chiave prog, è, con la con la successiva Reapers, un’ efficace cartina tornasole del disco, dove il sottile equilibrio tra hard rock e canzone mainstream si crea e si disfa in continuazione. Perché poi la parola chiave di questo lavoro è equilibrio, lo stesso che le mille facce dei Muse provano a trovare combinandosi tra di loro. Una band cangiante in cerca di un'identità, o forse priva della reale intenzione di trovarla una volta per tutte, ma decisa solo a sfiorarla, in un continuo movimento verso qualcosa di oltre e più: la terra e lo spazio che si aprono nella seconda parte dell'album, dove si compie l'opera rock. Il ritornello glam di Revolt, altro momento di schitarrate radio-friendly, porta al finalone teatrale, con i Queen sul petto, composto da Aftermath, dalla lunghissima The Globalist e Drones, e il pizzico d'Italia che c'è, con gli archi registrati alle Officine Meccaniche di Milano, sale in cattedra. "Drones" è di fatto per i Muse una macchina del tempo che si sposta come impazzita, a volte andando lungo di qualche decennio e catapultando i Nostri in un contesto già ascoltato, visto, raccontato, altre frenando in tempo per avvicinarli alla band che fu prima dei recenti passi falsi e far salire a bordo qualche passeggero nuovo o riconquistato.
I Muse saranno in Italia il 18 luglio per un concerto sold out al Postepay Rock In Roma, città dove hanno anche registrato il CD/DVD "Live at Rome Olympic Stadium" pubblicato a fine 2013.