07 settembre 2022, ore 17:00
La celebre scrittrice statunitense sta incantando grazie alla Marilyn Monroe di Blonde, ma il suo talento si può esperire in molti modi. Uno di questi è un gioiello dimenticato, che La Nave di Teseo ha ripubblicato nel corso di quest’anno
Pubblicato per la prima volta nel 2008, Sorella, mio unico amore ha il suo nucleo originario in un caso di cronaca nera rimasto irrisolto, costruendovi attorno una finzione paurosamente reale: l’emancipazione dalla provincia, l’ossessione per il successo, la de-formazione dei figli all’interno di una famiglia accecata dall’ambizione.
TRA FICTION E NON-FICTION
Uno dei generi più difficili da gestire, per uno scrittore, è quello della non-fiction, la narrazione in forma romanzata di fatti realmente accaduti. Difficilmente una ricostruzione di questo tipo riesce a non farsi inebriare dal gusto della parzialità, quasi impossibile da arginare per un narratore – il taglio prospettico da dare alla riproposizione di un fatto accaduto è già, di per sé, operare una scelta parziale –. Nel ripercorrere vite, tragedie o crimini, ovvero ciò che impegna la non-fiction più accattivante e foriera di riflessioni meta-narrative, è una sfida celare una certa fascinazione per quelle vite che non sono la nostra (ci sarebbe tanto da dire, a tal proposito, sul celebre romanzo di Emmanuel Carrère, L’Avversario). Appurato ciò, possiamo quasi azzardarci a parlare di virtuosismo qualora si riesca a creare un ibrido tra realtà e finzione talmente ben miscelato da rendere quasi impossibile la separazione delle due matrici. Joyce Carol Oates, tra le scrittrici statunitensi più prolifiche e acclamante, ci è riuscita con Sorella, mio unico amore.
LA TRAMA
Siamo nel New Jersey, in una località raccolta e tranquilla. Come in gran parte delle province statunitensi, non succede mai niente. Eppure, il 29 gennaio 1997, qualcosa accade: la piccola Edna Louise Rampike, nota come Bliss, promessa del pattinaggio su ghiaccio e idolo locale, viene trovata assassinata in casa. I sospetti, chiaramente, ricadranno immediatamente sulle persone vicine alla piccola: la madre Betsey, donna ossessionata dal successo della figlia e pericolosamente vicina al fanatismo; il padre Bix, il classico pater familias bianco, benestante e americano ricco di contraddizioni, che parla per frasi fatte e formule rozzamente colte; il fratellino Skyler, affamato di affetto in una famiglia che lo ha accantonato dopo che ha deluso le aspettative di grandezza dei genitori (a sancirne l’irrecuperabilità c’è la zoppia causata dal tentativo del padre di trasformarlo il un “vero Rampike”, un atleta). Il lavoro di Joyce Carol Oates prende le mosse da un caso di cronaca che ha sconvolto l’America degli anni ’90: l’omicidio di Joan Benét Ramsey, reginetta di bellezza, uccisa all’età di sei anni nella casa di famiglia. A differenza del romanzo di Oates, la quale ha dato pace al suo personaggio, la vicenda Ramsey è ancora considerata un cold case, un caso irrisolto.
PERCHE’ LEGGERE SORELLA, MIO UNICO AMORE
Ci sono almeno due ordini di ragioni per voler leggere questo romanzo. Il primo riguarda le scelte stilistiche e narratologiche di Oates: il punto di vista sul quale il lettore deve fare affidamento è quello dell’emarginato fratello Skyler, fortemente legato alla sorellina minore Bliss da un amore solidale, ma allo stesso tempo costretto a una condizione di inferiorità deleteria. Skyler, il nostro narratore, mette insieme un febbrile racconto del trauma a 9 anni di distanza dallo stesso, in una modalità che tradisce, anzi denuncia, la sua natura spezzata: il punto di vista non è semplicemente un filtro soggettivo, ma una sfida per il lettore. Quest’ultimo, infatti, si trova di fronte voce narrante ingombrante, quasi soffocante, consapevolmente inattendibile a tratti, che si rivolge a lui per tutto il corso della narrazione e si corregge continuamente con l’aiuto di note a margine, cercando di ordinare un’infanzia vissuta tra troppo amore e troppa indifferenza, aspettative e delusioni. Qui arriviamo al secondo ordine di ragioni per dare una chance a questo romanzo: sappiamo che il perno del racconto è un brutale omicidio, ma a far da protagonista nel romanzo è la rappresentazione della società e della famiglia americana, e in particolare di una certa middle class, deturpata dalla fame di benessere, pronta a sacrificare tanto, troppo in nome della fede in una scalata sociale folle e vana. Sotto la lente d’ingrandimento di Oates c’è lo status sociale dei Rampike, che sacrificano la felicità e la stabilità mentale (e fisica) dei loro figli - altro tema strisciante è l’abuso di farmaci e psicofarmaci a tutte le età - in nome del mito per eccellenza, come scrive Oates: “Essere famosi! In America, cos’altro conta?”.