11 aprile 2021, ore 09:00
L'11 aprile 1987 Primo Levi venne trovato privo di vita in fondo alla tromba delle scale del suo palazzo a Torino; era sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz ed era diventato un testimone degli orrori dell'Olocausto; "Se questo è un uomo" il suo libro più noto
Sono trascorsi 34 anni da quell’11 aprile 1987. Era un sabato mattina, il corpo di Primo Levi venne trovato alla base della tromba delle scale dello stabile di Torino dove abitava, un elegante palazzo in corso Umberto, non lontano dal centro e dalla stazione di Porta Nuova. La morte è avvenuta a seguito di una caduta. Benché l'ipotesi di gran lunga più accreditata sia quella del suicidio, c'è chi sostiene che la caduta possa essere stata provocata dalle forti vertigini di cui Primo Levi soffriva. Scompariva così un grande testimone dell’Olocausto, oltre un intellettuale di alta levatura.
IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO
Primo Levi era nato a Torino nel 1919 , figlio di una famiglia di religione ebraica. Apparteneva all’alta borghesia, il padre era ingegnere e già all’inizio del XX secolo era spesso in giro per il mondo per motivi di lavoro. Primo era uno studente dall’ottimo rendimento, che scelse di iscriversi alla Facoltà di Chimica. Le leggi razziali precludevano l'accesso allo studio universitario agli ebrei, ma concedevano di terminare gli studi a quelli che li avessero già intrapresi. Levi era in regola con gli esami, ma, in quanto ebreo, aveva difficoltà a trovare un relatore per la sua tesi, finché nel 1941 si laureò con lode. Partigiano antifascista, il 13 dicembre 1943 venne arrestato dai fascisti in Valle d'Aosta, venendo prima mandato in un campo di raccolta a Fossoli e, nel febbraio dell'anno successivo, deportato nel campo di concentramento di Auschwitz in quanto ebreo. Scampato al lager, tornò in Italia, dove si dedicò con impegno al compito di raccontare le atrocità viste e subite.
LA TESTIMONIANZA
“Se questo è un uomo” è – insieme al Diario di Anna Frank- il libro più famoso in Italia a proposito della Shoah. In quello che è diventato un best seller internazionale, Primo Levi racconta con precisione e lucidità la sua detenzione presso il campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia. Un’esperienza durata quasi un anno: Levi venne catturato e stipato su un treno merci diretto al campo di sterminio il 22 febbraio 1944; fu uno dei pochi che riuscirono a sopravvivere fino al 27 gennaio 1945, quando l’esercito russo liberò il campo di Auschwitz, abbandonato dai nazisti in fuga. Il ritorno in Italia fu lungo e travagliato, durò quasi nove mesi, passando da Polonia, Bielorussia, Ucraina, Romania, Ungheria, Germania e Austria. Venne raccontato in un altro famoso romanzo: “La tregua”. Alla fine degli Anni Cinquanta, Primo Levi iniziò a riscuotere grande interesse partecipando a conferenze dedicate all’Olocausto ed ebbe l’occasione di raccontare la sua drammatica esperienza a decine di migliaia di studenti. Alle vicende legate alla Shoah è dedicata un’altra opera “I sommersi e i salvati”, un saggio in cui cerca di analizzare con distacco la sua storia, chiedendosi perché le persone si siano comportate in quel modo ad Auschwitz e perché alcuni siano sopravvissuti e altri no. Primo Levi non era religioso, si proclamava ateo e non credente, una posizione rafforzata dalla drammatica esperienza nel campo di sterminio. Diceva Levi: “C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio”.