12 dicembre 2023, ore 12:19 , agg. alle 10:51
Nel dicembre 1969 un ordigno diede drammaticamente il via agli anni definiti dalla strategia della tensione, chiudendo le speranze di quegli studenti e operai che avevano trasformato l'Italia in un teatro di rivoluzione
Fu la “madre di tutte le stragi”: il 12 dicembre di cinquantaquattro anni fa un ordigno esplose nella Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana, a Milano, provocando 17 morti. L’esplosione, seguita da altre tre a Roma, chiuse il capitolo sessantottino e gettò l’Italia negli anni della tensione, inaugurando una stagione scandita dagli attentati di Piazza della Loggia e della stazione di Bologna, dai colpi delle Brigate Rosse, dalla scia di sangue degli anni Settanta e dal mistero internazionale di Ustica, quando un aereo di linea della compagnia Itavia si inabissò al largo dell’isola nel basso Tirreno.
QUEL POMERIGGIO DEL 1969
Alle 16.37 del 12 dicembre 1969 la storia d’Italia cambia di colpo. Un ordigno esploso all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura – a quell’ora gremita di contadini e lavoratori di umili origini provenienti dalla provincia alle prese con operazioni di cassa del fine settimana - a Piazza Fontana, a Milano, uccide 17 persone e ne ferisce quasi novanta. Lo stesso pomeriggio a Roma scoppiano altre tre bombe, una nel sottopassaggio della Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio, due sull’Altare della Patria: il bilancio sarà di 16 feriti. Una quinta bomba sarà trovata inesplosa a Milano, nei locali della Banca Commerciale di Piazza della Scala. “Un portavoce della polizia ha reso noto che le caldaie dell'impianto di riscaldamento dell'edificio, alla cui esplosione si era pensato in un primo tempo, sono state trovate integre. Il salone centrale della sede della Banca dell'agricoltura nella centralissima piazza Fontana è letteralmente saltato in aria”, batterono le agenzie di stampa in quel pomeriggio del 1969. La pista accidentale sarà presto abbandonata: da subito le indagini cercarono i responsabili dell’attentato negli ambienti anarchici, individuando un primo colpevole nel ferroviere Giuseppe Pinelli, che morì tre giorni dopo cadendo dalla finestra dell’ufficio del commissario Calabresi.
LA BOMBA CHE MISE FINE ALLE SPERANZE RIVOLUZIONARIE DI STUDENTI E OPERAI
L’ordigno esploso a Piazza Fontana chiude repentinamente le speranze di quegli studenti e operai che fino a qualche mese prima avevano tentato di sovvertire il sistema. La rivolta degli studenti, innescata inizialmente da richieste interne all’ordinamento universitario, si erano man mano trasformate in un sogno rivoluzionario di radice spontaneista inteso a destabilizzare lo Stato fondato su gerarchie sociali, politiche e familiari ben definite. Università e fabbriche diventano teatro di rivoluzione: l’autunno del 1969 fu costellato da violente manifestazioni contro le difficili condizioni di lavoro nell’industria e i ritardi del governo nell’attuare le riforme promesse in materia di alloggi, sanità e servizi pubblici. La bomba piazzata a Milano dall’ultradestra pone drammaticamente fine alle contestazioni, in un groviglio di indagini, tra piste rosse e piste nere, risultanze processuali, rinvii e spostamenti di sedi dibattimentali che non si è mai completamente dipanato: tre sono state le sentenze di primo grado, quattro gli appelli, tre volte si è pronunciata la Cassazione. Una tormentosa vicenda investigativa e giudiziaria che si è conclusa senza una sola condanna definitiva per strage. Nessuno degli esecutori materiali è stato identificato.