04 giugno 2022, ore 10:00
Dalle 7 alle 23 di domenica occorre votare “sì” se si vuole cambiare la legge attuale, oppure votare “no” se si vuole mantenere l’assetto corrente. Per essere valido, ogni quesito dovrà raggiungere il quorum, ovvero la maggioranza degli aventi diritto
Il referendum che si svolgerà tra pochi giorni concerne uno dei nodi centrali del sistema democratico: la giustizia. Si voterà domenica 12 giugno, dalle 7 alle 23. Gli italiani sono chiamati a esprimersi su cinque diversi quesiti referendari, che chiedono di abrogare altrettante leggi. Occorre votare “sì” se si vuole cambiare la legge attuale, oppure votare “no” se si vuole mantenere l’assetto corrente. Per essere valido, ogni quesito dovrà raggiungere il quorum, cioè la maggioranza degli aventi diritto in Italia.
L’incandidabilità
Nel nostro Paese chi è condannato in via definitiva per alcuni gravi reati penali non può candidarsi alle elezioni, né assumere cariche pubbliche e, se è già stato eletto, decade. Coloro che sono eletti in un ente locale, come i sindaci, sono invece automaticamente sospesi dopo la sentenza di primo grado (quindi non in via definitiva, visto che nel nostro ordinamento sono assicurati tre gradi di giudizio). Se vince il “sì”, sia l’incandidabilità per i condannati in via definitiva, sia la sospensione per gli eletti in enti locali, non saranno più automatiche ma saranno decise da un giudice caso per caso.
Le misure cautelari
Le misure cautelari sono provvedimenti – varati da un giudice – che limitano la libertà di una persona sotto indagine (quindi non ancora condannata). Alcuni esempi sono la custodia cautelare in carcere, gli arresti domiciliari o il divieto di espatrio. Oggi la misura cautelare può essere applicata solo in tre casi: se c'è il rischio che si alteri le prove, o se c’è il pericolo che la persona fugga, oppure che continui a ripetere il reato. Se vince il “sì”, viene cancellata la ripetizione del reato dalle motivazioni per disporre misure cautelari. Restano il pericolo di fuga e di alterazione delle prove.
Le carriere
Nel corso della loro vita professionale i magistrati italiani possono passare più volte dal ruolo di pubblici ministeri (cioè coloro che si occupano delle indagini insieme alle forze dell’ordine e svolgono la parte dell’accusa) al ruolo di giudici (cioè coloro che emettono le sentenze sulla base delle prove raccolte e del contradditorio tra l’accusa e la difesa). Se vince il “sì” i magistrati dovranno scegliere, all’inizio della loro carriera, se svolgere il ruolo di giudici oppure di pubblici ministeri, per poi mantenere quel ruolo per tutta la vita.
Il Csm
Il Consiglio superiore della magistratura è l'organo di autogoverno della magistratura, con l’obbiettivo dell’indipendenza rispetto agli altri poteri dello Stato. È composto da 24 membri, eletti per un terzo dal Parlamento e per due terzi dai magistrati. Oggi, per candidarsi, è necessario presentare almeno 25 firme di altri magistrati a proprio sostegno. Queste firme, oggi, sono spesso fornite col supporto delle varie correnti politiche interne alla magistratura. Se vince il “sì” non sarà più necessario l’obbligo di trovare queste firme, ma basterà presentare la propria candidatura.
La valutazione
I magistrati vengono valutati ogni quattro anni sulla base di pareri motivati, ma non vincolanti, dagli organi che compongono il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio direttivo della Corte di Cassazione. In questi organi, insieme ai magistrati, ci sono anche avvocati e professori universitari di diritto, ma soltanto i magistrati possono votare nelle valutazioni professionali degli altri magistrati. Se vince il “sì” pure avvocati e professori universitari avrebbero il diritto di votare sull’operato dei magistrati.