Richard Gere a RTL 102.5: “Questa è l’era dei rifugiati e la cosa peggiore è chiudere i nostri cuori e diventare freddi”
Richard Gere a RTL 102.5: “Questa è l’era dei rifugiati e la cosa peggiore è chiudere i nostri cuori e diventare freddi” Photo Credit: Jeong Park
13 gennaio 2025, ore 18:20
Nel corso di Password, l’attore ha presentato in diretta radiofonica “Oh Canada – I tradimenti”, il nuovo film di Paul Schrader in uscita il 16 gennaio
Richard Gere è stato ospite di RTL 102.5 in compagnia di Nicoletta Deponti, Fulvio Giuliani e Cecilia Songini per presentare il nuovo film di Paul Schrader intitolato “Oh Canada – I tradimenti” e in uscita giovedì nelle sale italiane. La pellicola, tratta da “I tradimenti” di Russell Banks, vede come protagonista Leonard Fife (Richard Gere), un noto e stimato documentarista che alla fine dei suoi giorni, decide di raccontare la sua vita, senza filtri. Come regista di documentari d’inchiesta ha molto di cui essere fiero ma la fuga in Canada, la diserzione durante la guerra del Vietnam e alcune delle sue relazioni passate nascondono scomode verità. Quando Leonard rilascia l’ultima intervista ai suoi ex studenti, con l’attuale moglie Emma (Uma Thurman) in ascolto, le storie travagliate degli anni in cui era giovane (Jacob Elordi) rivelano l’uomo che si è nascosto dietro il mito.
LA FIGURA DI LEONARD FIFE
Ai microfoni di RTL 102.5, Richard Gere ha raccontato: «Penso che la maggior parte delle persone, alla fine della propria vita, desideri sentirsi pulita. Tutti vogliono tornare a essere bambini. Si tratta dell’estremità della nostra esistenza: in un certo senso, vorremmo essere puliti, puri e liberi. Penso che questo si possa osservare molto spesso con le confessioni in punto di morte. Leonard è un personaggio complicato, non è solo una cosa. Ha molti, molti impulsi diversi; ecco perché è divertente da interpretare. Non credo sia completamente conoscibile. Penso che ci sia una scena importante dove, nel mezzo dell’intervista, l’infermiera lo accompagna in bagno. Lui è seduto lì, da solo, sul water. Pensando fra sé e sé, dice: “Il mio corpo è scomparso, questo è ciò che mi è rimasto, è ciò che ho nella mente. Ma la mia mente è una finzione, ho inventato tutto. Esisto solo come personaggio immaginario o c’è qualcos’altro? C’è il vero me?». «Ora… da un punto di vista psicologico, ovviamente, è molto difficile per tutti presentarci e semplicemente essere noi stessi. Per tutti noi. Ma da un punto di vista metafisico, c’è un vero “io” o sono tutte autoprotezioni? Proiettandoci in questo "là fuori", siamo in grado di vedere qualcosa chiaramente, senza proiezioni, senza filtri? Quindi penso che il film funzioni su questi due livelli diversi: uno è psicologico ed emotivo, l’altro è metafisico. Ed è qui che la telecamera diventa una sorta di metafora della metafora metafisica del film» ha aggiunto l’attore.
IL LEGAME CON LE PROPRIE ORIGINI
Nel corso di Password, Richard Gere ha espresso il suo punto di vista in merito al rapporto del protagonista con le proprie origini «Come stavo dicendo, penso che questo sia il dilemma che abbiamo tutti. Penso, spero, che nel momento in cui ognuno di noi vive la propria vita si possa avvicinare alle proprie radici. E una volta che trovi le tue origini, allora puoi anche decostruirle e trovare qualcosa di ancora più vasto, di più accurato e di più autentico. Anche a quel punto. Quindi questo è un processo interessante perché tutti noi lo attraversiamo e di certo è accelerato in lui perché sta morendo. Quindi deve farlo subito. Penso che sia per questo che acconsenta a fare l’intervista davanti alla telecamera. A questo punto non gli importa. Ciò che gli interessa è usare questo punto di attenzione in più, che la telecamera fornisce, per raccontare la storia a sua moglie. A un certo punto dice “Non mi interessa cosa faranno di questo film dopo”. E ancora meno gli interessa di essere il soggetto del documentario. Ciò che vuole è l’intimità tra un uomo e usa moglie». Inoltre ha aggiunto: «In termini di film, penso che andare in Canada sia uno dei suoi rimpianti. Era percepito come colui che si oppose alla leva, ma in realtà è andato in Canada per altri motivi. Quindi lui sta, di nuovo, in questi ultimi momenti della sua vita, cercando di ripulirsi la coscienza. E il rimpianto ha permesso questo tipo di falso mito che circonda lui e la sua carriera. Anche diventare un regista di documentari è stato un caso. È il caso che lo fa diventare un documentarista. Le ragioni che lo spingono ad andare in Canada, non erano legate alla leva. Era la sua incapacità di essere un padre e un marito responsabile».
LA GUERRA DEL VIETNAM VISSUTA DA RICHARD GERE
«É interessante sapere che questa era anche la mia epoca, perché ero nella prima leva durante la Guerra del Vietnam. Ed è stato fatto in base alle date di nascita e la mia data di nascita è arrivata molto presto. Quindi sarei stato arruolato all’istante, ma sono andato al college. Sono andato all’università, quindi sono stato riformato. Gli uomini della mia età, avevano così tante cose in mente: si chiedevano se sarebbero andati a fare una guerra che pochissimi di noi avevano capito. Pensavano “È una cosa da pazzi! Ora noi dobbiamo sparare alla gente, per cosa?”. Quindi tutti ci chiedevamo come potevamo uscire dall’Esercito, il Canada era una possibilità concreta. Tutti ci abbiamo pensato. E un sacco di veri ribelli si sono recati in Canada. Molte persone hanno fatto altre cose, ma questo era sicuramente ciò che molti di noi hanno pensato in quel momento. Ed era una cosa profonda, in tutti noi. C’è una grande differenza rispetto a mio padre che ha partecipato alla Seconda Guerra Mondiale. Non c’era alcun dubbio. Era tutto così bianco e nero. Era tutto così chiaro. C’era un male nel mondo e doveva essere fermato. Ed è stato eroico. La Guerra in Vietnam non è stata eroica. Direi che è stato l’opposto di eroico. Non è stato saggio. Non è stata combattuta ad armi pari. È stato un atto terribile da parte degli Stati Uniti. C’erano Henry Kissinger e altre persone come lui che ci hanno spinto ad entrare in questa guerra. Era un periodo molto, molto diverso, un periodo confuso».
IL PENSIERO DI RICHARD GERE SULLA SITUAZIONE ATTUALE
«Non solo in Italia arrivano i migranti, anche negli Stati Uniti e nell’Europa orientale. Sono i tibetani, gli ucraini, i salvadoregni, gli africani, i palestinesi. Questa è l’era dei rifugiati. Lo abbiamo visto in Birmania e in Bangladesh. È pazzesco quello che sta succedendo. La cosa più importante per tutti noi è non diventare freddi. Si tratta di non chiudere i nostri cuori: è la cosa più importante, anche quando non c’è soluzione. E questi sono problemi difficili, so che non è facile capire cosa fare. La cosa peggiore è chiudere i nostri cuori e diventare freddi. Questo è il peggior scenario che nega la nostra umanità. Ovviamente dobbiamo sentire il dolore di queste persone. Sono brave persone. Sono come noi. Ci comporteremmo in questo modo anche noi se fossimo nella stessa situazione in cui si trovano loro. Siamo tutti uguali. Siamo fratelli e sorelle. Dobbiamo tenere i nostri cuori aperti e continuare a sentire quello che stanno attraversando. Dobbiamo usare la nostra mente per trovare delle soluzioni. Ma il peggio è essere freddi e tagliarsi fuori dicendo “Non è un nostro problema”’. Questa è la cosa peggiore» ha concluso Richard Gere a RTL 102.5.