Sing Street, In musica uno spaccato dell’Irlanda Anni 80
Sing Street: "In musica uno spaccato dell’Irlanda Anni 80"
11 novembre 2016, ore 07:00 , agg. alle 13:22
Al cinema la romantica pellicola di formazione a tema musicale firmata da John Carney.
E' nelle sale italiane in questi giorni Sing Street, film diretto dal regista irlandese John Carney che spesso ha preso la musica come tema centrale delle sue pellicole, basti vedere 'Tutto Può Cambiare' e 'Once' che nel 2007 ha vinto l' Oscar per la miglior canzone (Falling Slowly di Glen Hansard e Markéta Irglová, anche protagonisti del film). 'Sing Street' non è da meno e una panoramica sulla scena pop degli anni '80 diventa il terreno sul quale costruire un racconto di formazione dai toni dolceamari.
“Sing Street” è la storia di Conor (l’esordiente Ferdia Walsh-Peelo), quindicenne irlandese che si trova a dover affrontare gli effetti della crisi matrimoniale ed economica dei suoi genitori, primo tra i quali lo spostamento dalla sicurezza della sua scuola privata a una scuola pubblica, di quelle dure, con tutte le difficoltà del caso: emarginazione, bullismo, un preside rigido e dalla finta morale. Sullo sfondo la Dublino di metà anni ’80, la recessione, e il contesto sociale dell’epoca, l’Inghilterra vista come miraggio da raggiungere a tutti i costi e, naturalmente, la musica di quegli anni, colonna portante, più che semplicemente sonora, di tutto il film.
Su questo terreno si dipanano, infatti, tutta una serie di relazioni, quelle conflittuali di Conor con i compagni e con il preside fratello Baxter, quella con i suoi familiari, specialmente il fratello maggiore Brendan e quella con Raphina, ragazza più grande di lui e per la quale decide di mettere su una band.
Da qui lo start per la storia che mette in tavola un ventaglio abbastanza ampio di riferimenti alla musica britannica del tempo: Motorhead, Duran Duran, The Cure, The Clash, The Jam, Hall & Oates, con la band di Simon Le Bon prima responsabile per l’infatuazione di Conor nei confronti della musica e dei sui primi tentativi di ‘ribellione’; perché alla fine ‘Sing Street’ è soprattutto la ricerca, da parte di un ragazzino, di una propria identità, affrontata passando tra le ‘fasi’ musicali, come è successo a molti.
La crescita artistica della band è raccontata benissimo sia attraverso le hit utilizzate, sia con i brani originali scritti dal regista con Gary Clark, musicista scozzese che negli anni ’80 firmò con i suoi Danny Wilson il brano ‘Mary’s Prayer’. Conor affina le abilità da cantautore poco per volta, scoprendo e alimentando il suo talento e fondendolo con l’estetica del tempo. La prima prova insieme alla band è disastrosa ma le cose crescono giorno dopo giorno, in maniera quasi credibile, non è la classica storia dell’artista fatto e finito appena prende uno strumento in mano ma si avvertono le dinamiche dei principianti e questo, forse, è dovuto anche al fatto che il regista a sua volta aveva fatto parte di una band nella Dublino degli anni ’80.
I compagni di avventure di Conor sono perfetti comprimari che trovano in lui e nella sua missione, quella della conquista di Raphina, un output per la loro voglia di musica, di uscire dalla routine. Quasi tutti sono caratterizzati in modo interessante, anche se non compiuto, e destano curiosità, uno su tutti il partner in crime Eamon, il vero musicista del gruppo. Quella del protagonista è una continua ricerca nel trovare le parole adatte a colpire Raphina, ma anche la sua idea di musica, rubacchiando qua e là da altri artisti come spesso accade, e cercando di essere, anche nei suoi video amatoriali, al passo con i tempi e ciò che vede in TV su Top Of The Pops, finestra sul mondo, e il risultato è che i brani originali - cantati dallo stesso Walsh-Peelo -sono perfettamente centrati con il periodo e pure molto godibili (nella colonna sonora, in verità, c’è anche il brano ‘Go Now’ cantato da Adam Levine dei Maroon 5 che era stato attore per Carney in ‘Tutto può cambiare’).
L’ensemble è virtualmente guidato da dal fratello di Conor, Brendan, che passa sostanzialmente il tempo chiuso in camera a fumare ed ascoltare dischi, cercando di tramandare la passione al minore, dandogli vinili da ascoltare e perle di saggezza, guru che vede in Conor il potenziale per affrancarsi dagli schemi nei quali lui è rimasto imbrigliato, una specie di avatar da educare a lottare e fuggire. Il tema della fuga, mentale o fisica, dell’andare avanti, affrancarsi, o almeno del tentativo di farlo, è ricorrente in tutto il film; quando viene chiesto a Conor che tipo di musica sia la sua, la risposta è ‘Sono un futurista’. Il mollare i legami con una vita da ‘provincia’ verso il sogno londinese riprende una tradizione d’oltremanica, vista ad esempio con Tom Courtenay in ‘Billy Liar’, pellicola citata spesso dagli Smiths, ad esempio nel brano London (e sempre da un brano degli Smiths, The Headmaster Ritual, sembra tirata fuori la figura di fratello Baxter).
‘Sing Street’ si presta ad una visione su più livelli in base a quale elemento viene preso come punto di partenza, che sia lo spaccato di quegli anni, il racconto, le canzoni; quel che è certo è che se il perseverare di Carney nel girare film dalla forte connotazione musicale porta a questi esiti, c’è da sperare che non smetta mai.
Su questo terreno si dipanano, infatti, tutta una serie di relazioni, quelle conflittuali di Conor con i compagni e con il preside fratello Baxter, quella con i suoi familiari, specialmente il fratello maggiore Brendan e quella con Raphina, ragazza più grande di lui e per la quale decide di mettere su una band.
Da qui lo start per la storia che mette in tavola un ventaglio abbastanza ampio di riferimenti alla musica britannica del tempo: Motorhead, Duran Duran, The Cure, The Clash, The Jam, Hall & Oates, con la band di Simon Le Bon prima responsabile per l’infatuazione di Conor nei confronti della musica e dei sui primi tentativi di ‘ribellione’; perché alla fine ‘Sing Street’ è soprattutto la ricerca, da parte di un ragazzino, di una propria identità, affrontata passando tra le ‘fasi’ musicali, come è successo a molti.
La crescita artistica della band è raccontata benissimo sia attraverso le hit utilizzate, sia con i brani originali scritti dal regista con Gary Clark, musicista scozzese che negli anni ’80 firmò con i suoi Danny Wilson il brano ‘Mary’s Prayer’. Conor affina le abilità da cantautore poco per volta, scoprendo e alimentando il suo talento e fondendolo con l’estetica del tempo. La prima prova insieme alla band è disastrosa ma le cose crescono giorno dopo giorno, in maniera quasi credibile, non è la classica storia dell’artista fatto e finito appena prende uno strumento in mano ma si avvertono le dinamiche dei principianti e questo, forse, è dovuto anche al fatto che il regista a sua volta aveva fatto parte di una band nella Dublino degli anni ’80.
I compagni di avventure di Conor sono perfetti comprimari che trovano in lui e nella sua missione, quella della conquista di Raphina, un output per la loro voglia di musica, di uscire dalla routine. Quasi tutti sono caratterizzati in modo interessante, anche se non compiuto, e destano curiosità, uno su tutti il partner in crime Eamon, il vero musicista del gruppo. Quella del protagonista è una continua ricerca nel trovare le parole adatte a colpire Raphina, ma anche la sua idea di musica, rubacchiando qua e là da altri artisti come spesso accade, e cercando di essere, anche nei suoi video amatoriali, al passo con i tempi e ciò che vede in TV su Top Of The Pops, finestra sul mondo, e il risultato è che i brani originali - cantati dallo stesso Walsh-Peelo -sono perfettamente centrati con il periodo e pure molto godibili (nella colonna sonora, in verità, c’è anche il brano ‘Go Now’ cantato da Adam Levine dei Maroon 5 che era stato attore per Carney in ‘Tutto può cambiare’).
L’ensemble è virtualmente guidato da dal fratello di Conor, Brendan, che passa sostanzialmente il tempo chiuso in camera a fumare ed ascoltare dischi, cercando di tramandare la passione al minore, dandogli vinili da ascoltare e perle di saggezza, guru che vede in Conor il potenziale per affrancarsi dagli schemi nei quali lui è rimasto imbrigliato, una specie di avatar da educare a lottare e fuggire. Il tema della fuga, mentale o fisica, dell’andare avanti, affrancarsi, o almeno del tentativo di farlo, è ricorrente in tutto il film; quando viene chiesto a Conor che tipo di musica sia la sua, la risposta è ‘Sono un futurista’. Il mollare i legami con una vita da ‘provincia’ verso il sogno londinese riprende una tradizione d’oltremanica, vista ad esempio con Tom Courtenay in ‘Billy Liar’, pellicola citata spesso dagli Smiths, ad esempio nel brano London (e sempre da un brano degli Smiths, The Headmaster Ritual, sembra tirata fuori la figura di fratello Baxter).
‘Sing Street’ si presta ad una visione su più livelli in base a quale elemento viene preso come punto di partenza, che sia lo spaccato di quegli anni, il racconto, le canzoni; quel che è certo è che se il perseverare di Carney nel girare film dalla forte connotazione musicale porta a questi esiti, c’è da sperare che non smetta mai.