TELEVISION, Marquee Moon album senza tempo per la sua semplicità
22 marzo 2016, ore 11:24
agg. 23 marzo 2016, ore 15:18
La band americana arriva in Italia per presentare il capolavoro del 1977 “Marquee Moon” e quasi cinquant’anni di carriera.
I Television, band fondamentale della scena punk/new wave americana degli anni ’70 arrivano a fine mese in Italia per due imperdibili date: il 29 marzo all’Orion di Ciampino, Roma, dove suoneranno per intero “Marquee Moon”, loro seminale debutto del 1977, e il 31 al Live di Trezzo Sull’Adda (MI) per la serata Best Of Show dedicata ai più grandi successi della loro carriera. A salire prima di loro sul palco in entrambe le date sarà la cantautrice tedesca Lùisa che lo scorso maggio ha pubblicato per Nettwerk il primo album dal titolo“Never Own”.
Per l’occasione abbiamo raggiunto Jimmy Rip, dal 2007 chitarrista con i Television e sin dagli anni ’80 collaboratore del cantante della band, l’enigmatico Tom Verlaine, oltre che di artisti come Jerry Lee Lewis, Debbie Harry dei Blondie e Mick Jagger ,per il quale ha firmato anche alcuni brani come autore nel primo album solista del leader dei Rolling Stones “Wandering Spirit” del 1993.
Buongiorno Jimmy, parliamo un po’ dei vostri live in Italia. Cosa dobbiamo aspettarci?
Beh, faremo due tipi diversi di show: in uno suoneremo tutto “Marque Moon” e qualche altra canzone, nell’altro di solito facciamo cinque o sei pezzi da “Marque Moon”, alcuni da “Adventure” e “Television”, a anche due o tre pezzi nuovi.
A proposito di pezzi nuovi, in alcune interviste dello scorso anno si parlava delle possibilità di un nuovo album. A che punto siete?
Il piano è che quando Tom (Verlaine) finisce di scrivere i testi e il cantato delle canzoni avremo un nuovo disco, ma ci vuole ancora un bel po’. Nessuno lo sa meglio di me e degli altri della band, abbiamo fiducia in un nuovo album, un giorno arriverà perché ci sono un sacco di canzoni, ma non dei veri testi. Quelle che suoniamo live hanno parole diverse ogni sera, questo rende abbastanza difficile fare i controcanti e ci capita di cantare parole diverse da quelle di Tom perché lui decide di cambiarle improvvisamente, ma facciamo del nostro meglio. Comunque speriamo tutti in un prossimo album, sul palco ci divertiamo quando facciamo le nuove canzoni e anche il pubblico sembra apprezzare, non vedo perché un nuovo disco non debba arrivare, ma non saprei dirti quando. Basterebbe iniziare con una canzone, viviamo in un’epoca che ti consente di farlo, mettere una canzone sola in download ma, che posso dirti, è fuori dal mio controllo.
Perché credi che “Marque Moon” sia considerato così un album importante e sia ancora tanto amato oggi, anche dalle nuove generazioni?
Non è una cosa fantastica? Per me, vedendola da fan, la prima cosa è che la scrittura delle canzoni è grandiosa. La produzione del disco è molto, molto semplice, fatta con l’intenzione di catturare la resa live della band ed è quello che fecero, andarono nello studio e più o meno registrarono il loro show, come lo suonavano ogni sera sul palco. Non vennero aggiunti troppi elementi extra, non provarono a cambiare la loro identità, e questo è servito da lezione a molte band di qualsiasi epoca: cerca semplicemente di catturare ciò che sei, senza andare in studio per cercare di diventare qualcosa di diverso, i Led Zeppelin, i Beatles, o chiunque altro. Sii te stesso, e se hai qualcosa di buono da offrire la gente risponderà, e la produzione di “Marquee Moon” è senza tempo proprio perché così semplice. Il disco è registrato in un modo bellissimo, per questo molto credito va a Tom, e naturalmente al produttore Andy Johns, Tom ama registrare il suono degli strumenti in modo naturale, e la gente reagisce bene a qualcosa che è senza trucco e senza inganno, e se anche il songwriting è all’altezza, allora ci si trova davanti a un lavoro senza tempo, ed è proprio ciò che è accaduto con “Marquee Moon”.
Tu hai lavorato con tanti artisti, da Mick Jagger a Jerry Lee Lewis, c’è qualcuno con cui hai avuto maggiore difficoltà? Non necessariamente in merito all’andarci d’accordo ma anche, solo, con il quale hai avuto difficoltà in studio, non so, una canzone che proprio non voleva saperne di venir fuori o qualcosa del genere.
Ho lavorato con un sacco di gente che ha la fama di essere “difficile” , non che voglia essere uno di quelli che parlano bene di tutti perché, sai, la personalità di ognuno ha dei limiti e degli spigoli, specialmente se si tratta di artisti. Il mio lavoro però, come produttore e chitarrista turnista, è principalmente quello di aiutare le altre persone ad esprimere e realizzare la propria arte, a completare la loro visione di ciò che quel pezzo di musica significa per loro e come immaginano sia una volta registrato, o a presentarlo dal vivo in un determinato modo. Credo che le persone diventino difficili quando le persone che lavorano con loro falliscono nel proprio compito e non riescono ad aiutarle come dovrebbero. Non sei lì per fare le tue cose ma per aiutare quell’artista a realizzare il suo sogno e le uniche volte in cui la situazione diventa complicata è quando le persone cercano di inserire il proprio ego o la propria sensibilità artistica in quelle persone che in teoria dovrebbero invece aiutare. Credo di aver fatto il mio lavoro con successo forse nel 95% dei casi ricordandomi di essere un aiuto, non un sabotatore. Come produttore l’altra parte del tuo lavoro è cercare di seguire le istruzioni e le idee di un’altra persona, e dall’altro lato di ricordarti di presentarlo alle persone nel modo più corretto possibile. Bisogna cercare di non essere mai troppo insistenti o pressanti, solo così le cose andranno bene. Io ho lavorato con Mick Jagger, Jerry Lee Lewis, Tom, e altra gente che ha sempre avuto la reputazione di “impetuosa”, ma non ho mai avuto veri problemi con nessuno di loro, non che io possa ricordare.
C’è qualche artista giovane con cui ti piacerebbe lavorare?
Sai, io vivo in Argentina, ormai è dal 2010 che sono qui, e molto del mio lavoro è anche lavorare con i giovani, anche con diversi artisti affermati qui, ho lavorato per alcuni dischi di successo e varie hit. Lo scorso anno ho fatto da giudice in Argentina per una specie di battaglia delle band a livello nazionale, non proprio come American Idol ma qualcosa del genere, e ho prodotto i vincitori, pronuncio sempre male il nome in spagnolo, Mi Primo Fosforescente, sono una sorta di Radiohead argentini, molto interessanti, il cantante della band è fantastico e molto originale.
Comunemente pensando all’Argentina non viene subito da associarla al rock, e invece…
Pensa che molte persone con cui parlo ancora non hanno capito bene dove vivo, confondono l’Argentina con il Brasile e dicono “Wow, deve essere bello con quel clima!” e io gli faccio notare che qua si muore di freddo, non vivo nella giungla, né in Brasile! Abbiamo delle estati calde, degli inverni freddissimi, e non c’è Tango ma solo tanto rock! Ci sono solo due cose per le quali la gente del posto è ossessionata, e queste sono il calcio e il rock, e io per primo quando sono arrivato qua non mi aspettavo questa passione per il rock, è stata una gran bella sorpresa. Qua ho trovato una versa fissazione per i Rolling Stones e, a causa di tutto il lavoro che ho fatto con Mick Jagger e gli altri della band, quando sono arrivato qui sono rimasto completamente shockato da tutte le persone che si presentavano ai miei show, tutti i migliori musicisti volevano lavorare con me, ed è stata una gran sorpresa ed è ciò che mi ha convinto a trasferirmi qua. Voglio dire, chi non vorrebbe lavorare in un posto in cui tutti sono sempre felici di vederlo? Per me è fantastico, amo stare qui.
Parlando di Mick, sai che recentemente ha prodotto questa serie TV per la HBO chiamata “Vinyl” e ambientata nella New York City degli anni ’70, quella del grandissimo fermento culturale, specialmente per quanto riguarda le sottoculture musicali. Quali sono i tuoi ricordi dell’epoca?
Ero giovane, nel 1976 avevo 20 anni, sono stato parte di molte situazioni in quella scena, ma in piccolo, non sedevo con Andy Warhol allo Studio 54, anche se non molto tempo dopo mi sarebbe capitato di andarci a cena. Ero ancora ai margini per poter essere totalmente dentro a quello che stava accadendo, mi stavo facendo strada dal Queens a Manhattan. Ero una sorta di teenager suburbano alla scoperta di New York City, ma non al centro del ciclone, di quel modo di vivere, per quanto capissi quello che accadeva. Anche tutta la scena dello storico locale CBGB's...sai, New York City in quel periodo era una città estremamente pericolosa, l'unico motivo per andare all' East Village era per procurarsi della droga o venire rapinato, a meno che non fossi senza il becco di un quattrino e in cerca di un alloggio gratis. Questa è una delle ragioni per cui scena punk del CBGB's è nata lì, potevi semplicemente entrare in un edificio abbandonato e restare lì, e un sacco di musicisti lo facevano, credo che tutti i membri dei Television lo abbiano fatto ad un certo punto della loro vita, a parte me. Io stavo già lavorando in studio sui dischi di diversi artisti e andavo dai musicisti a batter cassa e, visto che guadagnavo già qualcosa, vivevo in una zona della città molto più carina. Quando mi sono deciso ad iniziare a suonare lì era ormai già il 1980 e le grandi band della prima ondata, come Television, Blondie, Ramones, avevano già smesso di suonare là per passare a posti più grandi. Però la musica più interessante veniva dall'East Village, questo è senza dubbio.