The Libertines, grande ritorno in Italia
06 luglio 2015, ore 09:17 , agg. alle 10:23
Sabato scorso al Fabrique di Milano prestazione esaltante della band guidata da Pete Doherty e Carl Barat che il 4 settembre torna dopo 11 anni con il nuovo album “Anthem For Doomed Youth” .
In una Milano calda come l’inferno lo scorso sabato sera si è consumato il ritorno di una delle band più rappresentative della scena inglesi degli ultimi 15 anni, The Libertines.
Pete Doherty è uno dei personaggi più controversi della storia musicale recente; o lo si ama, o lo si odia, o si cerca a fatica l’oggettività. Gli eccessi di qualsiasi tipo lo hanno cosegnato alle cronache come un ragazzo perso e allo sbando, inaffidabile, maledetto come nella migliore agiografia del rock, poeta decadente, romantico autore o solo vittima di se stesso e degli eventi. Oltre che compagno o amico vicino di personaggi altrettanto glamour e complessi come Kate Moss e la mai troppo rimpianta Amy Winehouse, relazioni che si uniscono a quella altrettanto intricata con l’altra metà del nucleo principale dei Libertines, Carl Barât.
Proprio il legame con il suo migliore amico di sempre, Carl, era al centro dell’ultimo studio album, l’omonimo ‘The Libertines’ del 2004, canto del cigno della band prima che Doherty venisse allontanato per risolvere i propri problemi. Negli anni sono stati diversi i progetti e le collaborazioni dei vari membri, i Dirty Pretty Things e ultimamente The Jackals per Barât, gli Yeti per il bassista John Hassal, e i Babyshambles, tra le varie cose, per Doherty, ma la storia dei Libertines continuava ad apparire e scomparire nelle vite di tutti i protagonisti. Il 2010 diventa l’anno della reunion con l’annuncio degli show al festival di Reading and Leeds, che appaiono però solo come un riavvicinarsi, prima di ritornare ai rispettivi progetti alternativi, e bisognerà aspettare il 5 luglio 2014 per una nuovo evento in grande stile dei Libertines, con il concerto da headliner ad Hyde Park per il British Summer Time e la promessa che la band sarebbe tornata a produrre nuovo materiale insieme. Seguono nuovi concerti, mentre Pete Doherty si reca in Thailandia per ripulirsi dai tanti abusi, fino ai fatti delle ultime settimane con l’annuncio di un nuovo singolo, Gunga Din, di un nuovo album in uscita a inizio settembre dal titolo “Anthem For Doomed Youth” e l’esibizione a sorpresa al Festival di Glastonbury per coprire lo slot lasciato libero da Florence+The Machine per sostituire i Foo Fighters dell’infortunato Dave Grohl.
Al Fabrique di Milano, lo scorso sabato 4 luglio, la curiosità per vedere in che stato di forma fossero i Libertines, tornati apparentemente in pianta stabile dopo anni di purgatorio, era altissima, quasi come la temperatura dell’asfalto nella città meneghina. Il locale è abbastanza pieno di corpi sudati, in un’atmosfera da stadio che riempie l’aria nei trenta minuti bonus di attesa, tutto sommato prevedibili, prima di vedere salire la band che si butta subito sugli strumenti senza lasciare tempo a chiacchiere inutili. Il ritmo è serrato e sulla prima hit del passato glorioso, Time For Heroes, il boato della folla è di quelli che resta, perché i versi iniziali hanno definito una generazione di ragazzi europei e la loro estetica: Did you see the stylish kids in the riot, Del resto, volenti o nolenti, The Libertines, insieme con gli Arctic Monkeys sono l’unica band britanica dai tempi degli Oasis ad aver avuto un peso culturale tale da dettare stile, mode e da spingere i ragazzi a prendere in mano una chitarra. La scaletta è lunga e varia, al punto da discostarsi anche da quella originariamente annunciata all’organizzatore, il tiro è sempre dritto con Gary Powell alla batteria che fa valere la sua stazza e potenza dietro i tamburi , John Hassal defilato ma costante, e Pete e Carl complici e felici, non perfetti - come da copione - ma veri. E’ uno scambio continuo tra la band sul palco e un pubblico in assoluto visibilio, tra chi conosce ogni strofa a menadito e chi è forse sorpreso perché le aspettative e speranze maggiori su Doherty negli ultimi anni hanno riguardato il suo presentarsi o meno sul palco senza sparizioni dell’ultimo minuto, e si è invece trovato a testimoniare una prestazione maiuscola non proprio quotata. Ci sono tutte le hit dei primi due album, ma anche qualche assaggio del prossimo lavoro come Gunga Din, Barbarians eseguita per la prima volta, e la bella ballad acustica You’re My Waterloo (in realtà traccia mai pubblicata ufficialmente ma già ben nota ai fan). La forza dei Libertines si celebra in un matrimonio tra attitudine punk sgangherata, giri chitarristici da cabaret, ritmi reggae, melodie romantiche e lascia che a parlare sia la musica, a parte qualche ringraziamento di rito. La band è visibilmente a proprio agio in questo clima di comunità, nonostante gli avventori siano un’accozzaglia eterogenea di umanità e si sente nella positiva tensione palpabile che pervade il Fabrique. Il bis vede tornare sul palco Doherty finalmente senza giacca, e tutti siamo un po’ felici per lui, visto che nella folla era a ragione facile vedere ragazzi e ragazze a torso nudo per il troppo caldo, per una conclusione non da tutti. What Became of The Likely Lads, sentita dedica di Pete a Carl nel periodo di rottura della band, i cori al fulmicotone di What a Waster e I Get Along e la chiusura affidata a Don’t Look Back Into The Sun, invito a non guardare al passato. I Libertines dovrebbero, sì, guardare al passato, quello bello e quello che se non uccide fortifica, ma anche, forse, mettere nel mirino il futuro che a giudicare dalla forza di questo show sembra meno incerto di quanto si potesse pensare e pronto a regalare altri inni per una gioventù dal destino segnato