Bud Spencer, Trinità e Bambino, una favola infinita
06 luglio 2016, ore 10:53 , agg. alle 12:04
A una settimana dalla scomparsa del grande attore, era giusto gettare uno sguardo sul suo film più celebre
Qualche sera fa ho assistito ad una proiezione speciale in onore dell’appena scomparso Bud Spencer. Il film proiettato era, neanche a dirlo, Lo Chiamavano Trinità.
Credo che qualsiasi bambino dagli otto anni in su abbia visto almeno una volta nella vita quel film. Senza stare a fare fini analisi, capire che fosse una parodia degli spaghetti-western (tanto in voga all’epoca), i bambini hanno guardato e guardano questo film, semplicemente perché intrattiene. Gli adulti, per contro, perché è la loro migliore occasione per tornare piccoli, anche solo per due ore.
Spesso al giorno d’oggi nel mondo del cinema si va a creare un solco, mano a mano sempre più grande, dove da una parte abbiamo i blockbuster movies (film con capitali superiori ai cento milioni di dollari) e dall’altra un’enclave di film d’essai ultra-intellettuali. La sintesi, alla fine, è che gli spettatori del primo filone guardano di cattivo occhio quelli del secondo e viceversa, senza che questo porti a nessuna spinta positiva per entrambe le parti. Una situazione di stasi insomma.
Trinità è uno di quei film che mette straordinariamente d’accordo tutti: dagli intellettuali di sinistra, ai camionisti marci di lavoro (con tutto il rispetto per entrambe le categorie). Trinità riesce in maniera genuina e onesta in questo preciso lavoro di negoziazione, senza voler esser buono (perché così facendo si attirerebbe le antipatie dei cinici), e senza essere crudo e spietato (tagliandosi via una fetta di benpensanti).
Il capolavoro di E.B. Clucher (nome d’arte del romanissimo Enzo Barboni) è un film che non annoia mai, anche se visto dopo anni e conoscendo numerose battute a memoria. La coppia più famosa d’Italia, sebbene ai tempi fosse alle prime armi, gode già di una sinergia introvabile in qualsiasi altro sodalizio artistico in cent’anni di cinema.
Lo chiamavano Trinità è un film semplice ma efficace, cento volte di più di altri prodotti dove vengono spesi milioni e milioni in effetti speciali. Fateci caso: nei primi cinque minuti di film, le uniche cose che vediamo sono Terence Hill e un piatto di fagioli. Poche inquadrature, lunghe e quasi nessun dettaglio (al contrario del montaggio al serrato del cinema commerciale d'oggi). Minimale se vogliamo. Ma proprio in quel minimalismo capiamo nel giro di una manciata di secondi, chi è il personaggio di Trinità: determinato, godereccio e giusto. Questo significa una grande opera di scrittura cinematografica.
Credo che Bud Spencer avesse ragione: il successo della sua vita di attore è stata solo la sintesi tra l’avergli cucito un vestito perfetto addosso e dare al pubblico quel che voleva. Ma soprattutto quest’ultimo è stato molto chiaro a volere un tipo di personaggio che fosse qualcosa di speciale, con un’ampia intelligibilità.
Nel particolare, Bud Spencer è il fratellone che tutti noi avremmo voluto avere, l'amico che c'è quando hai bisogno, insomma l'archetipo che più si avvicina a un luogo sicuro in cui stare. E sfido chiunque a dirmi il contrario.
Grazie a entrambi allora per accompagnarci ancora oggi, grazie per le risate, anche sapendo già dove si ridirà su quella o quell'altra battuta, ma soprattutto grazie per regalarci quella nostalgia intramontabile di quando eravamo piccoli uomini.
Ehi Bud, guarda là… Tiè!