Trump incendia l'America, i fan dell'ex presidente invadono Capitol Hill, il Congresso sospende la certificazione della vittoria di Biden

Trump incendia l'America, i fan dell'ex presidente invadono Capitol Hill, il Congresso sospende la certificazione della vittoria di Biden

Trump incendia l'America, i fan dell'ex presidente invadono Capitol Hill, il Congresso sospende la certificazione della vittoria di Biden


Un'azione senza precedenti, i fan di Donald Trump hanno prima circondato e poi invaso la sala del Congresso americano mentre avveniva la cerimonia per la certificazione della vittoria di Joe Biden alle elezioni americane

Il mondo è sotto shock per un assalto senza precedenti, con scontri e feriti, a Capitol Hill, il cuore della democrazia americana. Ad attaccarlo sono stati migliaia di fan di Donald Trump mentre era in corso la seduta del Congresso per certificare la vittoria di Joe Biden, nello stesso giorno in cui i dem hanno conquistato il Senato e quindi l'intero parlamento.


L'azione dei fan di Trump

Dopo aver sfondato le recinzioni e, i deboli cordoni di polizia, i supporter, alcuni armati e in mimetica, hanno infranto alcune finestre e hanno fatto irruzione nel Campidoglio. Un blitz che solleva molti interrogativi su come le forze dell'ordine si fossero preparate ad una protesta prevista da giorni. Al parlamento è scattato il lockdown, la seduta è stata sospesa, la polizia ha dovuto impugnare le armi per difendere gli eletti e usare i lacrimogeni nella storica rotonda del Congresso, ordinando a deputati e senatori di indossare la maschera antigas e di stendersi a terra. Mike Pence, che presiedeva la sessione, è stato scortato fuori dal Senato mentre un supporter di Trump si accomodava sul suo scranno. È stata quindi mobilitata la guardia nazionale e proclamato il coprifuoco in città, ma questo non ha impedito nel frattempo scene di violenza e guerriglia. Feriti diversi agenti e, gravemente, una donna, colpita al petto da un colpo d'arma da fuoco.
"Immagini che non avremmo mai voluto vedere", ha commentato sbigottito il commissario Ue Paolo Gentiloni, tra i primi leader della comunità internazionale ad esprimere una preoccupazione condivisa addirittura dal segretario generale della Nato Stoltenberg che ha parlato di "scene scioccanti" e chiesto (al presidente degli Stati Uniti!) di rispettare il risultato di elezioni democratiche.

Le parole di Joe Biden


"Questa non è una protesta, è un'insurrezione. La nostra democrazia è sotto un assalto senza precedenti, un assalto contro i rappresentanti del popolo", ha denunciato Joe Biden esortando Trump ad andare in tv a chiedere la fine dell'assedio.
Cosa che il presidente ha fatto solo dopo un lungo silenzio e due deboli e tardivi tweet in cui chiedeva ai suoi sostenitori di stare tranquilli: "L'elezione ci è stata rubata, ma dovete andare a casa. Non vogliamo che nessuno resti ferito". Ma a fomentare la protesta e a incendiare il Paese è stato proprio Trump, che continua pericolosamente a rifiutare di riconoscere la sconfitta. "Non concederemo mai la vittoria a Biden, i repubblicani che la certificheranno sono deboli e patetici", aveva tuonato in mattinata il presidente uscente davanti a migliaia di fan senza mascherina radunatisi davanti alla Casa Bianca per "salvare l'America".

Trump prosegue sulla sua linea

Trump non ha mollato neppure dopo la batosta del Senato, dove i dem hanno incassato una vittoria storica nella roccaforte repubblicana della Georgia. Per tutto il giorno non ha fatto altro che rilanciare le accuse di brogli, frutto di "un sistema elettorale peggio di quelli del terzo mondo", scagliandosi contro i dem per aver "rubato" anche i due ballottaggi in Georgia. "Avremo un presidente illegittimo, non possiamo permetterlo", ha arringato i suoi sostenitori, sbarcati in una capitale blindata dopo i tafferugli che già si erano consumati nella notte. Per l'ultima spallata il presidente si è appellato non solo alla piazza ma anche ai parlamentari repubblicani, chiedendo una prova di lealtà che ha dilaniato il Gop. Il presidente uscente ha messo sotto pressione anche il finora fedele Mike Pence, chiamato a presiedere il Congresso in seduta plenaria. "Se Mike fa la cosa giusta vinciamo le elezioni, se non ci aiuta sarà un giorno triste per il nostro Paese", aveva detto nella speranza di fargli forzare la procedura. Ma il suo vice lo ha gelato con una nota: "La presidenza appartiene agli americani. Non ritengo che i padri fondatori volessero investire il vicepresidente con l'autorità' unilaterale di decidere quali voti devono essere contati e quali no". E anche il leader dei senatori repubblicani Mitch McConnell gli ha voltato le spalle ammonendo che ribaltare la vittoria di Biden spingerebbe la democrazia in una "spirale mortale". Ma questo non ha impedito ad alcuni di loro, guidati dall'ex candidato presidenziale Ted Cruz, di iniziare a contestare la vittoria di Biden in alcuni Stati, proprio mentre iniziavano le proteste.
In una giornata che l'America non ha mai vissuto, rischia di passare in secondo piano anche la clamorosa doppietta infilata dai candidati democratici in Georgia. Qui il reverendo Raphael Warnock, che ha ereditato ad Atlanta il pulpito di Marther Luther King, ha battuto al ballottaggio la senatrice repubblicana uscente Kelly Loeffler diventando il primo senatore afroamericano di questo ex Stato schiavista, dove l'anziana madre raccoglieva ancora il cotone per i 'padroni'. L'altro dem in lizza, il giornalista investigativo Jon Ossoff, ha superato invece il senatore repubblicano David Perdue: a trentatré anni diventa il più giovane senatore dai tempi di Biden (1973). La doppietta, agevolata dal voto afroamericano, riconsegna dopo sei anni le chiavi del Senato ai democratici, assicurando loro il controllo dell'intero Congresso. Ma Biden, pur esprimendo soddisfazione per i risultati "rivoluzionari", ha ribadito che intende lavorare in modo bipartisan. "Dopo gli ultimi quattro anni, dopo le elezioni, e dopo la procedura di certificazione a Capitol Hill, è tempo di voltare pagina. Il popolo americano chiede azione e vuole unità", ha affermato, mentre si prepara a nominare come ministro della Giustizia il giudice federale Merrick Garland, cui i repubblicani non concessero neppure un'udienza quando Barack Obama lo nominò nel 2016 alla Corte suprema per occupare un posto vacante. Ma prima dovrà spegnere l'incendio appiccato da Trump.


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