09 marzo 2021, ore 18:12 , agg. alle 10:43
In dodici mesi oltre centomila vittime e tre milioni di contagi, ma anche il vaccino e il tracciamento
Chissà chi ha inventato gli anniversari. Ci sarà stato qualcuno che un giorno deve aver deciso di ricordare un dato avvenimento, bello o brutto che fosse, a distanza di uno, dieci o cento anni. O magari è qualcosa che è sempre esistito, chissà; magari non c'è stato bisogno di immaginarli. Fatto sta che siamo abituati a ricordare in continuazione ciò che è passato. Talvolta lo facciamo per rivivere in qualche maniera dei momenti che sono stati felici, gloriosi o importanti per qualcuno; altre volte lo facciamo perché è importante non dimenticare quanto di brutto ci è accaduto affinché non accada ancora in futuro. Dallo scoppio della pandemia da Coronavirus in poi ci sono diverse date che non dimenticheremo. Una di queste è il nove marzo del 2020, esattamente un anno fa.
Palazzo Chigi. Sono circa le dieci di sera. Me lo ricordo perché ero in radio per il programma della sera, che iniziava alle 21:00. Le agenzie di stampa avevano diffuso la notizia per cui a breve il presidente del Consiglio Conte avrebbe parlato alla nazione, annunciando nuovi e più duri provvedimenti per contrastare la diffusione di questo nuovo virus sbarcato, alla fine, anche nel nostro paese. Erano state settimane tutto sommato tranquille, fino a quel giorno. I telegiornali e le radio avevano iniziato a parlare di questo nuovo ceppo virale nato in Cina, ma a tutti quel paese sembrava così lontano da essere irraggiungibile. Poi è arrivato il primo caso in Italia, la prima vittima. Era un sabato, e ricordo di non essermi preoccupato. Come tanti altri allora non avrei mai immaginato ciò che da lì a poco sarebbe successo, e quanto la mia vita sarebbe cambiata. Nella sala stampa della Presidenza del Consiglio Giuseppe Conte annuncia la firma di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri, un Dpcm. "Io resto a casa" l'aveva chiamato.
Per il bene dell'Italia
"Siamo ben consapevoli di quanto sia difficile cambiare tutte le nostre abitudini. Purtroppo tempo non ce n'è. I numeri ci dicono che stiamo avendo una crescita importante dei contagi, dei ricoveri e delle vittime. Le nostre abitudini, quindi, vanno cambiate, ora". Il premier Conte lasciava trasparire dal tono di voce la gravità di quanto stava annunciando. L'atmosfera era quella della sospensione che un'intera nazione vive nel momento precedente ad una decisione importante. "Dobbiamo rinunciare tutti a qualcosa per il bene dell'Italia. Lo dobbiamo fare subito e ci riusciremo solo se tutti collaboreremo e ci adatteremo subito a queste norme più stringenti. Se la salute pubblica, come interesse, è messa a repentaglio, siamo costretti a imporre dei sacrifici per quanto riguarda altri interessi pur meritevoli di tutela". E poi l'annuncio dell'imminente firma del decreto che avrebbe cambiato la vita degli italiani dalla mattina successiva: "Sto per firmare un provvedimento che potremmo sintetizzare con 'io resto a casa'. Non ci saranno più diverse zone. Ci sarà tutta l'Italia zona protetta".
Un anno dopo
A distanza di dodici mesi, guardandosi intorno, sembrerebbe che poco o nulla sia cambiato. I giornali parlano della sofferenza degli ospedali, della curva dei contagi che cresce, di tamponi, contagi e decessi. Tante altre cose però sono cambiate. A partire dal fatto che da poche ore il nostro Paese ha pianto la sua vittima numero centomila in seguito alle conseguenze del contagio da Covid-19. Siamo tutti più preparati, dirà qualcuno. Lo siamo davvero? Abbiamo più armi per combattere, questo sì. Siamo anche, però, più stanchi. Forse abbiamo perso quel grande senso di speranza che ci faceva guardare con fiducia al futuro, che ci faceva affacciare dai balconi ogni giorno alle 18:00 per cantare. Un anno dopo però siamo sicuramente più consapevoli. Consapevoli del fatto che sui libri di storia si parlerà di questi anni, e che la battaglia non è ancora finita, a noi continuare a combattere.