L'ordigno che ha ucciso Darya Dugina azionato a distanza, si indaga sui mandanti, Mosca accusa l'Ucraina
22 agosto 2022, ore 13:50
La bomba sull'auto di Dugina è stata innescata a distanza, questa la prima conclusione della polizia russa. Si indaga sui mandanti: Mosca accusa l'Ucraina e l'Occidente, ma c'è anche la pista interna di oppositori di Putin
Le indagini condotte dagli inquirenti russi hanno portato a un primo risultato: l'ordigno esplosivo installato sull'auto della giornalista e politologa Darya Dugina è stato fatto esplodere a distanza. Lo ha ufficializzato la polizia: “Ora è stato accertato che la bomba sull'auto di Dugina è stata innescata a distanza. Presumibilmente, l'auto è stata monitorata e il suo movimento è stato seguito”. La dinamica ormai sembra piuttosto chiara, è sui mandanti che per ora si brancola nel buio. Una delle televisioni presso la quale Dugina lavorava, oggi ha lanciato un duro atto d'accusa verso l'Occidente: "Chi ha ucciso Darya? Saranno le indagini a doverlo scoprire. Ma possiamo già presumere che ciò sia stato fatto per volere dell'Occidente. E' stato un crimine mostruoso, un atto di intimidazione, un segnale per tutti noi".
DINAMICA CHIARA
Darya Dugina stava per compiere trent’anni. Era figlia di Olexander Dugin, un ultranazionalista che ha saputo vendersi come l’ideologo di Vladimir Putin. In realtà il presidente russo la sua ideologia se l’è costruita da solo. Diciamo che su molti punti i due sono in sintonia, anche se Dugin su alcune questioni sembra essere su posizioni più radicali del capo del Cremlino. Darya si era laureata in filosofia all’Università di Mosca e aveva intrapreso la carriera di commentatrice televisiva, seguendo le orme del padre. Quindi su posizioni molto critiche (eufemismo) contro l’Occidente, e molto nette sulla guerra ( anzi missione militare speciale ) in Ucraina, giudicata sacrosanta. Sabato sera padre e figlia avevano partecipato insieme a un festival nazionalistico alle porte di Mosca. Per tutta la durata del convegno, il Suv Toyota Land Cruiser era rimasto nel parcheggio interno, ma incustodito, della struttura. Probabilmente è quello il momento in cui qualcuno piazza sotto l’auto almeno mezzo chilo di tritolo. Padre e figlia avrebbero dovuto salire sulla stessa auto, è possibile che il vero obiettivo dell’attentato fosse il sessantenne ideologo. Ma all’ultimo momento Dugin ha deciso di tornare a Mosca assieme a un amico con il quale doveva parlare di lavoro. Questo cambio di programma in extremis gli ha salvato la vita, ma non lo ha risparmiato dal dramma di assistere alla morte della propria figlia. Pochi minuti dopo l’esplosione, Dugin è arrivato sul posto e quando ha visto l’auto in fiamme ha capito che per Darya ormai non c’era più nulla da fare.
CACCIA AI MANDANTI
Più complicato il lavoro degli inquirenti per individuare i mandanti. Anche perché sembra difficile pensare che il tutto avvenga senza qualche forma di pressione politica. Fonti filorusse e alcuni media governativi hanno già puntato il dito contro l'Ucraina, che però ha rispedito al mittente le accuse. Da Kiev hanno risposto: “Non siamo uno stato criminale come la Russia, noi non c’entriamo niente con questo attentato”. Un’altra pista porta a partigiani russi, oppositori di Putin, che da tempo sono attivi sul territorio e che già si sono resi protagonisti di azioni, sia solitarie sia coordinate. Quel che è certo è che il sistema di protezione che il Cremlino avrebbe dovuto garantire “a chi è amico” ha presentato grosse falle. In un comunicato l'Fsb - i servizi russi di intelligence - afferma di avere risolto il caso: "Il crimine - si legge nella nota - è stato preparato e commesso dai servizi segreti ucraini. L'esecutrice è la cittadina ucraina Natalia Vovk, nata nel 1979, arrivata in Russia il 23 luglio insieme alla figlia Sofia Shaban e uscita dal Paese dalla regione Pskov, da dove ha raggiunto l'Estonia"