02 febbraio 2021, ore 10:34 , agg. alle 11:45
C'è anche uno dei mandanti dell'omicidio del giudice Livatino, Antonio Gallea, fra i boss a capo della Stidda agrigentina fermati questa mattina dai carabinieri, in diverse province della Sicilia orientale; in manette anche un’avvocatessa, vicina ai clan; dalle indagini emerge il ruolo decisionale del super latitante Messina Denaro
I capimafia riuniti nello studio dell’avvocatessa dei clan
Le riunioni dei boss della ricostituita Stidda si tenevano nelle stanze dello studio legale di un’avvocatessa di Canicattì, Angela Porcello, penalista compagna di un imprenditore colluso. Il suo studio era stato scelto come base logistica dei clan perché la legge limita le attività investigative negli uffici degli avvocati. La Porcello, con la complicità di alcuni agenti della polizia penitenziaria era riuscita anche a portare, in carcere, a un capomafia al 41 bis, Giuseppe Falsone, un cellulare con cui l’uomo comunicava con l’esterno, con i suoi fedelissimi. Durante l'inchiesta, è stata anche intercettata una telefonata di un agente di polizia penitenziaria in servizio ad Agrigento all'avvocatessa indagata: i due avrebbero parlato di un assistito della legale, detenuto in cella per mafia. L'agente avrebbe informato la donna che il suo cliente l'indomani sarebbe stato spostato in aereo in un altro carcere. L'altro boss arrestato oggi è Antonio Gallea, condannato all'ergastolo per l'omicidio del giudice Rosario Livatino, ucciso nel mese di settembre del 1990. Gallea nel 2015 era stato ammesso al beneficio della semilibertà: avrebbe così sfruttato i permessi per riorganizzare i clan e tornare a operare sul territorio.
Matteo Messina Denaro, dalla clandestinità ancora ai vertici
Tra i destinatari dei provvedimenti di fermo emessi dalla Dda di Palermo, c’è anche Matteo Messina Denaro, il superlatitante che risulta ancora il punto di riferimento dell’organizzazione, per le decisioni importanti. Dalla clandestinità, secondo quanto hanno appurato gli inquirenti, ha continuato a esercitare la sua influenza sui clan tanto che è ancora riconosciuto come l'unico boss cui spettano le decisioni su investiture o destituzioni dei vertici di Cosa nostra. Il ruolo del boss di Castelvetrano viene fuori nella vicenda relativa al tentativo di alcuni uomini d'onore di esautorare un boss dalla guida del mandamento di Canicattì. Dall'indagine emerge che per di realizzare il loro progetto i mafiosi avevano bisogno del beneplacito di Messina Denaro, imprendibile da 28 anni.
La mano della Stidda sul mercato ortofrutticolo di Agrigento
Alla fine degli anni ’80, Stidda e Cosa Nostra si sono fronteggiate in una guerra con decine di morti. Stavolta le due mafie si sarebbero spartite gli affari. Come quelli nel settore delle mediazioni nel mercato ortofrutticolo, uno dei pochi produttivi della provincia di Agrigento. Nel mirino delle cosche c’erano i commercianti, vessati dal racket delle estorsioni . Scoperto anche un progetto di omicidio di un commerciante e di un imprenditore, evitato grazie all'intervento degli investigatori. Il settore in cui la Stidda era più pervasiva era quello del commercio dell’uva. “L'ortofrutta è sottopagata agli agricoltori su valori che non coprono neanche i costi di produzione”, rileva in una nota Coldiretti, “ma i prezzi arrivano a triplicare dal campo alla tavola anche per effetto delle infiltrazioni della malavita che soffoca l'imprenditoria onesta e distrugge la concorrenza e il libero mercato".