Prima della Scala, l’attivista in corteo: “Non abbiamo potuto manifestare serenamente, abbiamo manifestato"
08 dicembre 2024, ore 14:00
Miccichè, giornalista e fotoreporter: “La tensione è stata minima e non c’è stato un tentativo di sfondamento”
Una giornata di proteste, ieri a Milano, in occasione della Prima della Scala, il momento dell’anno in cui tutti i riflettori del mondo sono puntati sul nostro Paese. I centri sociali e gli attivisti dei movimenti pro Palestina sono scesi tra le vie della città con un lungo corteo, nel pomeriggio, e organizzando un “flash mob” di fronte al teatro. Intorno a mezzogiorno un gruppo di manifestanti ha steso un lungo tappeto rosso gettandoci sopra del letame, insieme con le foto di Meloni, Netanyahu, La Russa, Salvini e Giuli. «La guerra e il genocidio sono uno spettacolo di merda», hanno urlato i presenti, impegnati a far sentire la propria voce contro i conflitti e il ddl sicurezza.
Tra gli attivisti in corteo ieri, anche Martina Miccichè, giornalista e fotoreporter.
Com’è andata ieri la manifestazione? Oggi alcuni giornali scrivono che c’erano molte meno persone del previsto.
La manifestazione è stata bella, partecipata e sentita. Manifestare è un’azione di presenza e rivendicazione, tant’è che proprio all’inizio c’è stata, in continuità con il 25 novembre, la rinomina dei giardini di Porta Venezia - ufficialmente titolati a memoria coloniale, sessista e fascista - in Giardini Decoloniali di Porta Venezia. Questo tipo di pratica serve a decolonizzare la città, a renderla coerente con chi la abita e, soprattutto, a denunciare quando rimane istituzionalmente oppressiva. Chi era in mi manifestazione ha potuto assistere a discorsi arricchenti, ascoltare musica popolare dissidente - dalla techno al rap - cantare e ballare attraversando una città del consumo che, durante questi momenti, diventa una città della possibilità.
Ci sono stati dei momenti di tensione, lancio di bombe carta e il tentativo di sfondamento per accedere alla zona rossa (l’area del centro limitrofa al teatro presidiata dalle forze dell’ordine ndr.)
In verità la tensione è stata minima e non c’è stato un tentativo di sfondamento, piuttosto di contatto con le transenne che non sono state nè divelte nè superate.
Tra gli slogan anche “Rovesciamo il governo, rovesciamo il Paese. Siamo tuti anti-fascisti”. Perché parlare di fascismo, lei stessa ha detto che avete potuto manifestare serenamente.
Si parla di fascismo perché il posizionamento dell’attuale governo è di natura chiaramente post/neofascista, ovvero si colloca in quella cornice - senza fare nemmeno troppa fatica per nasconderlo - in un contesto contemporaneo. Ora, i regimi sono vari, ma quello che li accomuna è che non necessariamente arrivano di botto, ma attraverso interventi progressivi e mirati che partono proprio dalla diseguaglianza. Colpendo il margine si inaspriscono le condizioni di vita, cosa che inevitabilmente esacerba il malcontento popolare. Lo stesso che poi viene cavalcato con una politica fatta di slogan e babau che incrementano la paura e la xenofobia, dividendo le masse e opprimendone gli spazi. È un circolo vizioso e fazioso. Il DDL 1660 è una chiara minaccia al diritto di manifestare e di dissentire. Le fattispecie aggiuntive e gli inasprimenti di pena colpiranno i soggetti marginalizzati e/o dissidenti - basta pensare al fatto che protestare in carcere o nei CPR sarà considerato “reato di rivolta” con pene che variano dai 2 agli 8 anni (anche se va detto che le rivolte erano già punite penalmente, qui si tratta di una fattispecie aggiuntiva che sa di populismo penale). Non abbiamo potuto manifestare serenamente, abbiamo manifestato. E c’è una bella differenza. Circondati delle forze dell’ordine in assetto anti sommossa e con un anno di repressione violenta alle spalle, quella non è serenità, ma presenza necessaria.
Pochi giorni fa, sempre a Milano, le proteste per la morte di Ramy al Corvetto. In un post lei ha parlato di “razzismo armato”... ci spiega cosa intende?
Se chi esercita il monopolio dell’uso della forza in un determinato territorio ha un bias razzista - come dimostrato dalle dichiarazioni dell’ECRI - allora ha senso parlare di razzismo istituzionale - perché le forze dell’ordine sono istituzioni - armato - perché hanno a disposizione diverse armi : materiali, legali e sociali. Definirlo così aiuta, forse, a capire che il razzismo istituzionale e le sue pratiche, tra cui la profilazione razziale, è tremendamente e quotidianamente pericoloso.